Un compito importante: La missione oggi ha bisogno del dialogo
In mezzo a tante notizie che negli ultimi mesi ci hanno fatto credere che lo scontro tra mondo islamico e mondo occidentale fosse destinato a radicalizzarsi, c'è n'è stata una, passata quasi sotto silenzio in mezzo all'assordante chiasso mediatico: uno scambio di lettere fra un gruppo di esponenti islamici e Benedetto XVI.
Hanno iniziato 138 esponenti islamici di 43 nazionalità, persone di alto livello culturale, che il 13 ottobre 2007, nel corso del ramadan, il tempo sacro degli islamici, hanno indirizzato una lettera aperta al Papa e ai responsabili delle altre chiese cristiane nel mondo. Ad essa il Papa ha risposto alla fine di novembre con una lettera del card. Tarcisio Bertone, suo segretario di Stato.
Segno di un clima nuovo
Si è trattato di un fatto storico intervenuto in un momento in cui pareva che la chiesa cattolica, come le altre chiese, non riuscisse più a dialogare con l'islam, che da qualche tempo sta vivendo una stagione di una vivacità missionaria fuori del comune, suscitando apprensione e paura nel mondo cristiano.
Era necessario riaprire il dialogo e riprendere a parlarsi per il bene della pace e del futuro dell'umanità, anche per evitare il pericolo di condannare con un giudizio sommario tutto l'islam, come se islamico fosse sempre e ovunque sinonimo di intollerante, fondamentalista e, in definitiva, terrorista. Il Papa attendeva questo momento e ha quindi accolto con favore questa lettera, segno di un nuovo clima.
Rispetto e impegno
Pur riconoscendo le differenze che tengono lontani i cristiani e gli islamici, Benedetto XVI afferma che "possiamo e dunque dobbiamo guardare a ciò che ci unisce, specialmente la fede nell'unico Dio e (...) il duplice comandamento di amare Dio e il prossimo".
I suoi interlocutori gli avevano scritto che "se i musulmani e i cristiani non sono in pace, il mondo non può esserlo". Di qui la responsabilità di promuovere il dialogo perché, continua il Papa, non vogliamo cedere "alle pressioni negative che ci sono tra noi, ma affermare i valori del rispetto reciproco, della solidarietà e della pace (...). La vita di ogni essere umano è sacra e ci sono moltissimi spazi per agire insieme al servizio dei valori morali fondamentali".
È ora di dialogare su valori comuni, "sull'effettivo rispetto della dignità di ogni persona umana, sulla conoscenzaoggettiva della religione dell'altro, sulla condivisione dell'esperienza religiosa e sull'impegno comune di promuovere il rispetto e l'accettazione reciproca tra le nuove generazioni".
Rilanciare l'ottimismo
Non c'è che dire: è un'apertura di reciproco credito e di fiducia che può finalmente rilanciare con ottimismo un impegno che, solo qualche mese fa, dalla famosa conferenza di Ratisbona, sembrava non avere molto futuro. La posta in gioco, scrivono i firmatari della lettera al Papa, è molto alta: "Forse è in gioco la stessa sopravvivenza del mondo".
A quelli che ciononostante "provano piacere nel conflitto e nella distruzione o stimano che alla fine riusciranno a vincere" (chiara allusione al terrorismo islamico e alla guerra dichiarata contro di esso), gli estensori della lettera rispondono che se non viene fatto ogni sforzo per la pace "le nostre anime eterne sono in pericolo".
Benedetto XVI ha accolto questa richiesta di reciproco ascolto e si è dichiarato pronto a ricevere in Vaticano il primo firmatario della lettera, il principe giordano, Ghazi bin Muhammad bin Talal, e alcuni altri tra di essi, per continuare lo sforzo per il dialogo precisando i tempi e i temi da approfondire. Questa è la risposta che gli islamici si attendevano.
Il dialogo di tutti noi
Ma non basta che il dialogo si elabori nei palazzi della diplomazia o nelle università. Ci sono altri tre modi di dialogare, richiesti dalla globalizzazione che ha portato a casa di tutti noi questa nuova sfida:
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il dialogo della vita, in cui le persone vivono lo spirito di apertura agli altri, condividendo le loro gioie e le loro sofferenze, i problemi e le preoccupazioni;
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il dialogo dell'azione per un mondo più giusto, per uno sviluppo integrale e per la liberazione dei popoli; e infine
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il dialogo dell'esperienza religiosa, in cui cristiani e musulmani condividono le ricchezze di ciascuna religione, per es. la preghiera e la contemplazione, la fede e la ricerca di Dio.
Proprio questo è l'impegno missionario che anche il recente Capitolo generale ha chiesto a noi saveriani. E voi, amici, credete forse di esserne dispensati?