Un cammino verso la missione
Pensando al cammino della vita, due cose mi sorprendono: la fiducia che Dio ha in me e la libertà che egli mi dona. Ogni vocazione è una vita griffata : qualcosa di nuovo e irripetibile, che solo Dio può immaginare. Ma è anche come l'acqua, tanto più limpida quanto è più vicina alla sorgente. È una vita in cammino con Dio. Come una nascita, in cui è difficile separare gioia e dolore.
Ci sono momenti in cui la vocazione prende un nome, diventa orientamento di vita. Parlo della mia esperienza, una fra tante dei figli di Dio. Per me la vocazione ha preso tre nomi: sacerdozio, handicap, missione. Sono nomi e segni in cui riconosco Dio che si avvicina per liberarmi e aprirmi all'amore, forse il nome più vero della nostra comune chiamata.
Sono sacerdote
...per continuare il "mestiere" di Gesù. Così intuivo da bambino, fissando il parroco che parlava di lui. I miei limiti avevano poca importanza davanti alla sua chiamata a stare e lavorare con lui. Sono stato invitato a diventare suo strumento: per spezzare il Pane, per offrire il suo perdono, per consolare con la sua Parola, per portare nel cuore l'afflizione del popolo che egli ama. E quel nome - “sacerdote” - è rimasto su di me come benedizione .
Sono handicappato
Non penso solo alla paraplegia che mi è rimasta dopo l'incidente di macchina nel 1969, ma alla fragilità della croce che ognuno di noi incontra nella vita. È l'incontro duro che spezza e libera il nostro io. Ed è grazia grande incontrare Gesù-Dio, inchiodato sulla croce, fratello del nostro soffrire. Non avevo previsto la croce nella sua verità. Poi ho capito che è la strada comune per crescere, proprio come il chicco di grano che nel solco muore e rinasce, dando molto frutto.
È il sì della fedeltà. Un sì difficile, accompagnato dalla coscienza della nostra povertà. Ricordo i giorni di grave malattia. Il Signore mi aiutava a rimettermi a zero, a cogliere l'essenziale. Cercavo di amarlo in quel vuoto, in quel silenzio che mi rendeva vicino a chi si sente ateo . Ero riconoscente a Cristo che aveva voluto vivere tutto il nostro buio fino a gridare: "Dio mio, perché mi hai abbandonato?".
Ci fu un miglioramento e dopo alcuni mesi ho potuto raggiungere la missione di Goma, in Congo-Zaire. In quelle condizioni mi chiedevo: quanto potrò restare? Mi dicevo: vorrei camminare con Dio. Così la vocazione, più che efficienza, mi sembrava tensione di vangelo, spoglia di molti appoggi, e la stessa carrozzella a rotelle era un segno di salvezza, ma senza sconti.
Sono missionario:
un nome particolare per dire che Dio si fa vicino a tutti noi per incontrarci. Da tanti anni il Signore mi ha fatto dono di trovarmi in quel movimento di grazia per la salvezza del mondo che chiamiamo “missione”. Non è un episodio della mia vita, ma un cammino . È un modo di essere con Cristo e nella comunità, per far emergere quei comportamenti che sono "buona notizia" per tutti. L'attenzione alle piaghe dei poveri è stata per me una chiamata particolare. I bambini denutriti, i carcerati, gli handicappati, i poveri che vivono soli, i malati... una folla di "piccoli" che portano il peso degli egoismi e delle scelte sbagliate dei potenti. Le opere di misericordia sono una risposta semplice e continua alle sofferenze che si incontrano.
Sono passati vari anni
In Italia, mi accorgo quanto sia importante dire Dio in una società e in un tempo, per certi aspetti, di notte oscura collettiva .
Stare con Dio. Comunicare il respiro di Dio... è un dono meraviglioso. È missione.
Dio respira con noi; porta con noi ciò che fa crescere la vita, anche il dolore. Riscopro il segno della croce. Dio Padre - Figlio - Spirito Santo, ci avvolge con il suo amore. Questo abbraccio di Dio mi ha dato tanta gioia. Vorrei ricambiarlo, abbracciandolo da figlio. Pensavo in questi giorni a Guido Conforti - beato, umile e giusto: non parla di sé; guarda Dio crocifisso. Lì è fisso il suo sguardo e il suo cuore. Con lui, ama l'umanità.