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Tempo del pianto e tempo del riso

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LA PAROLA
Tutto il popolo che lo ascoltava, e anche i pubblicani, ricevendo il battesimo di Giovanni hanno riconosciuto che Dio è giusto. Ma i farisei e i dottori della Legge, non facendosi battezzare da lui, hanno reso vano il disegno di Dio su di loro. A chi dunque posso paragonare la gente di questa generazione? A chi è simile? È simile a bambini che, seduti in piazza, gridano gli uni agli altri così: “Vi abbiamo suonato il flauto e non avete ballato, abbiamo cantato un lamento e non avete pianto!” È venuto infatti Giovanni il Battista, che non mangia pane e non beve vino, e voi dite: “È un indemoniato”. È venuto il Figlio dell’uomo, che mangia e beve, e voi dite: “Ecco un mangione e un beone, un amico di pubblicani e di peccatori!”. Ma la sapienza è stata riconosciuta giusta da tutti i suoi figli (Lc 7,29-35).

Il nuovo non esiste senza l’antico, è questa la conclusione che Gesù trae dal confronto tra lui e il Battista. Chi non aveva accettato l’invito di Giovanni a una vita giusta non sarà disposto a realizzare la giustizia “superiore a quella degli scribi e farisei” (Mt 5,20) richiesta da Gesù. E non perché più rigorista, ma perché riflesso di quella giustizia divina che oltre alle opere guarda il cuore, oltre alla condanna offre la possibilità di tornare a essere umani. Lo avevano capito i pubblicani e i peccatori che avevano condiviso la mensa con Gesù. I puri non potevano concepire un Dio così debole e non pensavano di averne bisogno. La salvezza, oltre agli applausi del loro Dio, se la potevano conquistare da soli.

Il giudizio di Gesù è alquanto tagliente: hanno distrutto il progetto di Dio sull’umanità. Che cosa volevano, allora? Un Dio ancora più severo? Ma d’esser così, nessuno si sarebbe salvato. O un Dio così misericordioso da permettere tutto? Sarebbe stata la fine di ogni senso etico. Forse non volevano nè l’uno, nè l’altro. Meglio far saltare il gioco per non correre il rischio di perdere. Meglio restare nel “giusto mezzo”, il punto da cui non ci si vuole smuovere per continuare a fare i propri comodi.

Gli uomini di questa generazione, dice Gesù, sono dei bambini capricciosi che non hanno danzato quando è stato suonato il flauto, e non hanno pianto quando è stato intonato il lamento funebre. Stanno alla finestra a guardare, alzando continuamente l’asticella delle esigenze e delle critiche rivolte agli altri. L’ascesi del Battista era considerata eccessivamente castigatrice verso i piaceri della tavola e del ben vestire. Inoltre esigeva che i ricchi dessero la metà dei loro beni ai poveri, che si rinunciasse alla smania del guadagno e alla prevaricazione sui deboli. Un povero pazzo che credeva ancora nella rivoluzione! Poi è venuto Gesù che non ha mai disdegnato un invito a pranzo né un buon bicchiere di vino anche in compagnia di gente disonorevole e nemica della Legge. Non era troppo umano e godereccio?

La questione però non è scegliere tra il rigore e la gioia di vivere, tra il Battista e Gesù, ma accogliere la verità di cui ciascuno è portatore. I veri sapienti sono quelli che sanno discernere il tempo del pianto e il tempo del riso. Non usano l’uno per negare l’altro. Li vivono con la responsabilità che è dovuta a ciascun momento. Proprio come nei giorni del contagio dal virus.
La lontanza non ci ha fatto dimenticare la vicinanza delle persone amate. Ma quando è stato possibile l’abbraccio, non abbiamo cancellato dal cuore il dolore della separazione. Così dev’essere per il nostro ritorno alle assemblee eucaristiche. Non lasciamo fuori dalla chiesa ciò che abbiamo appreso circa la liturgia della carità, la ricerca di un senso per la vita e per la morte, la cura per chi è solo e malato, la bellezza della preghiera in famiglia. Non rendiamo vano il progetto di Dio.



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