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Qualcuno mi chiedeva: “Quando tornerai in Africa?”. Io rispondevo: “Solo Dio lo sa”. Le vie del Signore, i suoi programmi sono sconosciuti. Ogni volta che un missionario va in vacanza, dopo alcuni anni vissuti in missione, la domanda è sempre quella. Forse perché la gente si affeziona e anche tu hai cominciato a sentirti a casa tua, forse perché hai preso “il mal d’Africa”…

Quando ti sentono parlare o leggono quello che scrivi, poi viene spontaneo che ti chiedano: “Cosa aspetti a tornare?”. La risposta è sempre quella: “Ci tornerei a piedi, anche se è a seimila chilometri di distanza”. Mi ricordo la prima volta che ho lasciato l’Africa (ci ero rimasto per 5 anni) e avevo dovuto rientrare in fretta perché ammalato. Mi chiedevo se sarei ritornato. Poi, per fortuna, tutto è andato bene. Sono guarito, ho approfittato del tempo delle vacanze per parlare a tutti di quello che avevo vissuto e così, dopo qualche mese, sono ripartito. La seconda volta è tutta diversa. Non c’è più la sorpresa, l’emozione di scoprire un posto nuovo, di come muoversi. Sai già che vai a casa tua, dove troverai degli amici e quindi ti senti un po’ preparato. È vero, non bastano cinque anni per conoscere l’Africa, però se ci metti un po’ di cuore, tutto può diventare più facile.

Naturalmente, devi essere pronto ad accettare le critiche, i consigli, a ricominciare quando sbagli, a capire che sei arrivato in un mondo diverso dal tuo. Devi capire che ci sono delle persone che hanno un modo di ragionare e di vivere che ti obbligano ad andare piano piano. I progetti vanno realizzati insieme a loro e ai loro ritmi. Poi, se dopo tutto questo, ti senti ancora bene tra di loro, allora continui e accetti gli imprevisti giornalieri. Magari quando con il fuoristrada ti inchiodi nella strada dopo la pioggia, oppure devi affrontare una tempesta sul lago o quando la signora malaria ti butta a terra per alcuni giorni. Almeno tu riesci a procurarti le medicine, loro spesso hanno difficoltà a pagarsi tutto il trattamento. Quando poi, parlando nella loro lingua, ti sbagli nel dire qualche parola e loro si mettono a ridere, allora, in tutta umiltà, accetti le correzioni e ti rimetti a studiare.

A ogni ritorno in Africa, magari cambiando nazione, come è successo a me (dal Congo al Camerun, dopo 11 anni trascorsi in Italia), ti dicono: “Guarda che le cose sono diverse da quelle che hai letto sui giornali o ti hanno raccontato; qui sei al servizio della gente, non comandi, ma servi”. E allora, devi accettare tutto volentieri e scopri una nuova dimensione della missione che è quella vera, della condivisione, dell’accorgerti dei talenti delle persone. Devi saperti rimettere in gioco ogni volta, senza scoraggiarti, aggiungendo cose nuove che la gente ti insegna. È una scoperta giornaliera. È un tornare e un ri-tornare che fa bene, ti mantiene giovane e, perché no, qualche volta ti fa anche sorridere e ti fa dire “guarda un po’ come è interessante la vita!”.



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