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Solo il povero ci può salvare

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LA PAROLA
Alzati gli occhi verso i discepoli, Gesù diceva: Beati voi poveri, perché vostro è il Regno di Dio. Beati voi che ora avete fame, perché sarete saziati. Beati voi che ora piangete, perché riderete. Beati voi quando gli uomini vi odieranno e quando vi metteranno al bando e v’insulteranno e respingeranno il vostro nome come scellerato, a causa del Figlio dell’uomo. Rallegratevi in quel giorno ed esultate, perché, ecco, la vostra ricompensa sarà grande nei cieli. Allo stesso modo infatti facevano i loro padri con i profeti. Ma guai a voi, ricchi, perché avete già la vostra consolazione. Guai a voi che ora siete sazi, perché avrete fame. Guai a voi che ora ridete, perché sarete afflitti e piangerete. Guai quando tutti gli uomini diranno bene di voi. Allo stesso modo infatti facevano i loro padri con i falsi profeti (Lc 6,20-26).

È Natale. Non è difficile pescare nel Vangelo di Luca una parola che getti uno sprazzo di luce sul mistero del Dio che si è rivestito della nostra carne e della nostra anima. Ogni volta che pronuncio questa parola “Natale”, rabbrividisco. Mi chiedo come Dio abbia potuto osare tanto. Non so rispondere, ma mi vien sempre voglia di gridare: “Benedetti coloro che gli hanno prestato il vestito della propria vita perché Lui continuasse a camminare tra noi!”. E allora vado con la mente a quella pagina così bella e così tremenda delle Beatitudini. Gesù l’ha pronunciata dopo avere passato la notte in preghiera, solo, sul monte, e avere scelto tra i discepoli il gruppo dei Dodici. Li aveva eletti, ma senza affidare loro nessuna missione. Forse non erano pronti. Per questo scende da quelle cime di gloria e va giù, verso una terra piana, senza troppa poesia, la terra dei rumori, delle malattie, della stanchezza.

Ed ecco sbucare una moltitudine anonima, venuta da ogni dove, anche da terre pagane, malata nel corpo e nello spirito, affamata di una parola vera, di una carezza. Volevano toccarlo! Una processione di disperati si raduna ai piedi del monte, in uno slum improvvisato, come ce ne sono tanti pure oggi alle periferie dei luccicchii natalizi. E Gesù guarda i discepoli. Anche gli occhi parlano di quello che vedono: i poveri, gli affamati, i piangenti, i perseguitati. Perché li chiama beati? Non c’è il rischio, reale peraltro, di santificare queste miserie come porta sicura per il cielo? A ben guardare, Gesù, quelle sofferenze, se le è portate sulle spalle e le ha lenite sfamando, consolando, guarendo, morendo... “Beato” traduce l’ebraico “ašrei”, che significa “Avanti, rimettiti in piedi!”.
Con quelle quattro beatitudini Gesù ci mostra da che parte sta Dio. Metterà in prima fila i tribolati non perché sono santi, ma perché sono nelle migliori condizioni per tendere la mano e dipendere dagli altri.

Hanno bisogno di noi, di Dio. E Dio si impegna perché questi tormenti finiscano, ma lascia uno spazio alla nostra libertà: “sarete saziati, sarete consolati...”. Sarete, il verbo del futuro che Dio confida alle nostre mani. Se c’è un povero è perché c’è stata un’ingiustizia. Per questo, Gesù esclama: “Poveri voi che ora siete sazi e ridete!.” Non ce l’ha con la gioia. Il suo è quasi un lamento, una supplica: “Fermatevi prima che il mondo vada alla rovina!”. Se l’80% dei beni della terra non fosse nelle mani dei più ricchi, non ci sarebbe miseria; se non ci fossero aguzzini, non ci sarebbero lacrime, se...
È un sogno che si realizza nella misura in cui ascoltiamo il lamento che si alza dagli immondezzai del mondo, dai cuori affranti. Solo i poveri, i perdenti, ci possono salvare. Sono loro i nostri maestri di vita. Gesù l’aveva imparato prima di noi, là a Betlemme, in una notte fredda e stellata di Palestina.



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