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Sfide sociali da accogliere

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Sette anni e mezzo di vita missionaria in Thailandia - uno speso nella zona industriale presso uno dei principali porti commerciali, tre nella più grande baraccopoli e tre e mezzo al confine con il Myanmar - sono un’opportunità infinita che Dio Padre mi ha dato per comprendere le bellezze e le contraddizioni che questo Paese porta in sé.

L’essere missionari ci dona la grazia di poter accompagnare tante persone, entrando in punta di piedi nella vita di ognuna e imparando il loro punto di vista sulla realtà… Un punto di vista che è una porta aperta sulla cultura, la società, le fedi diverse, la storia di un popolo. Dio scrive nella storia di ognuno e si fa compagno di ogni persona, sospingendola ad aprir la porta al povero, al migrante, allo straniero… In questi anni ho potuto camminare fianco a fianco a tanti: giovani tribali lavoratori nelle fabbriche, migranti birmani sfruttati dall’industria ittica thailandese, nuclei familiari in ginocchio per debiti e con gli occhi spenti dallo sniffare colla e consumare droga, carcerati sfiduciati, migranti la cui richiesta di asilo è stata rifiutata, poveri nella baraccopoli in attesa di un tempo migliore, profughi tribali fuggiti in Thailandia da uno dei più lunghi conflitti civili della storia (quello Karen-birmano, al confine con la zona dove noi siamo presenti ad Umphang), gruppi etnici che rivendicano la tutela dell’ambiente e della loro cultura… La Thailandia, ben conosciuta come il paese del sorriso e dell’accoglienza (cosa verissima) in rapido sviluppo tecnologico, nasconde però un tessuto sociale in tumulto.

Per noi essere presenti in mezzo alla gente significa farsi carico delle loro voci spesso inascoltate, soprattutto di chi vive ai margini o vive nella precarietà. In questo senso, è bello notare come in questi anni le popolazioni tribali siano riuscite pian piano a ricoprire alcuni posti di responsabilità, specialmente nei territori a maggioranza tribale. D’altro canto, però, il mondo giovanile chiede dei cambiamenti che non sono accolti dai gruppi di potere e che hanno come conseguenza sfiducia, proteste e scoraggiamento. La cura dei giovani ci invita a riunirli e sospingerli verso una consapevolezza nuova: l’Amore di Cristo abbraccia gli oppressi e ci mette in piedi per rinvigorire il cammino. Gesù ci dà forza, coraggio, speranza… se ci scopriamo fratelli tutti.

Intravediamo la sfida educativa, dandoci come uno degli obiettivi, quello di liberare la persona e di incentivare partecipazione e critica. Anche nelle scuole dove insegniamo, tutti sono stupiti dal metodo che noi proponiamo, che dà la parola e la libertà di espressione ai ragazzi. Dialogo e collaborazione sono metodi per fare della nostra vita il lievito capace di fermentare e portare buon frutto. Suggerire piuttosto che imporre, sospingere un cambiamento, aiutare a far crescere leader locali. L’Amore di Cristo ci spinge a immergerci dentro queste problematiche e ad accettare la sfida di provocare il cambiamento del cuore, capace di amare non più solo l’apparenza (che tutto sia bello e armonico), ma anche la sostanza!



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