Se anche la finanza dice stop alle bombe
La notizia non ha fatto tremare la Borsa, ma è rilevante. Lo scorso novembre 2021, il KLP (Kommunal Lands Pensjonskasse), il più importante fondo pensione privato norvegese, ha annunciato di non investire più in 14 grandi aziende coinvolte nella produzione di armamenti nucleari e convenzionali, compresa l’italiana Leonardo.
Il fondo gestisce asset per un totale di 90 miliardi di euro ed investe in circa 7mila imprese di 70 nazioni. Le aziende coinvolte hanno sede in Italia, Gran Bretagna, Francia, Israele, India, Cina e Stati Uniti e sono state escluse perché producono armi o componenti di armi nucleari, mine antiuomo, bombe a grappolo, ordigni che violano i principi umanitari fondamentali. La decisione di KLP fa seguito alle iniziative intraprese già da tempo dal Fondo Pensione del Governo norvegese - il maggior fondo sovrano mondiale con 930 miliardi di euro di patrimonio investito - che ha escluso investimenti nel settore degli armamenti nucleari e in aziende produttrici di sistemi militari coinvolte nelle violazioni dei diritti umani. Se anche la finanza internazionale comincia a dire “stop alle bombe”, siamo sulla strada giusta.
Campagna di pressione alle “banche armate”, promossa dal 2000 dalle riviste Missione Oggi, Mosaico di Pace e Nigrizia, informa sulle attività finanziare degli istituti di credito, nazionali ed esteri, che operano nel settore della produzione e commercio di armamenti italiani per favorire il controllo attivo e scelte consapevoli da parte di associazioni, realtà ecclesiali e correntisti.
Sito: www.banchearmate.it