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Scoprire un mondo sconosciuto

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Il 10 gennaio, accompagnato da un amico della Capitaneria di Porto di Venezia, ho ricominciato a salire sulle navi per conoscere e portare un po’ di amicizia a persone che non conosco, ma che sono presenti nel mio cuore da quando ho ricevuto l’incarico di cappellano del Porto Commerciale di Marghera.

Siamo stati accolti molto semplicemente. Per fortuna, chi mi accompagnava mi ha tirato fuori dall’impaccio con il suo inglese. Io cercavo di mettere in pratica quello che stavo imparando alla scuola del mercoledì sera, ma ci vuole ancora tempo. La maggioranza degli equipaggi sono formati da filippini, russi, ucraini, indiani, olandesi e anche italiani. La prima nave, che potrebbe essere una “porta tutto”, imbarcava grandi mucchi di ferro (in pietre), a cui era stato tolto l’ossigeno, pronti per partire verso le fonderie. Quando si sale su una nave, non si sa mai dove si arriva. Nella prima, quattro rampe di scale, ci hanno portato a salutare una parte dell’equipaggio, formato da olandesi. Poi siamo riscesi e abbiamo dialogato con i filippini. Infine, qualche preghiera e una benedizione per il lavoro, per loro e le rispettive famiglie. Sono stato contento di averli conosciuti.

L’altra nave, invece, era una portacontainers, che fa tratte brevi. Le grandi navi scaricano al porto i loro containers, poi le navi più piccole li trasportano (ad esempio da Venezia a Trieste e viceversa). Anche qui c’erano i filippini, tra cui naturalmente anche il cuoco a cui ho chiesto come va la cucina. E i suoi compagni lo confermavano. Il loro è un lavoro duro, lontano da casa (dai 7 mesi a un anno di continuo). Noi forse non ce lo immaginiamo, ma loro lavorano per noi. L’80% delle merci arriva via nave e sono queste persone, questi sconosciuti, che ci permettono di avere il materiale per lavorare. Mi piacerebbe un giorno, chissà quando, vivere una cerimonia pubblica insieme a loro, per dire grazie per ciò che fanno per noi. Insomma “ci aiutano a casa nostra”.

È un lavoro prezioso che noi non dovremmo dimenticare. Allora, quando vediamo qualche nave, chiediamoci chi sta lavorando, quali sono i loro progetti, i loro sogni e problemi. E se non possiamo farlo di persona, inviamo un grazie che qualche gabbiano può portare loro, quando la nave lascia il porto per andare a caricare le merci che ci aiutano a vivere. Il mondo viene in casa nostra e forse non sempre ce ne accorgiamo. Un ultimo grazie, ovviamente, va a tutti quelli che lavorano nel porto: operai, forze dell’ordine, capitaneria, autorità varie. È un lavoro silenzioso, nascosto, ma che porta frutti per chi li sa vedere.



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