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Scelte operative: Inseriti in due realtà ''missionarie''

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Come coppia di laici saveriani abbiamo scelto di inserirci in alcune attività che ci sembrano più significative dal punto di vista "missionario", intendendo con questo termine proprio il concetto di "andare fuori". Si tratta di una comunità di indio kaingang nel villaggio Boavista e un centro che assiste i bambini poveri di un quartiere alla periferia di Cantagalo.

A fianco degli indio

Alessandra - Perché gli indio? Perché è una delle realtà più povere ed emarginate in Brasile e perché il rapporto con loro ci sembra più "missionario" di altri. La cultura indigena, infatti, è fortemente "altra" rispetto alla nostra. Cercare di camminare insieme è già una grande sfida.

Purtroppo anche in Brasile ci sono numerosi pregiudizi nei confronti degli indio e una delle sfide più grandi è proprio quella di rompere le barriere e i pregiudizi reciproci. Per i bianchi, gli indigeni sono "fannulloni, sporchi, incivili, parassiti...". Per gli indio, i bianchi approfittano, rubano le loro terre, li ingannano per "comprare" - magari per una bottiglia di caçacha (liquore) - il loro legname e altre ricchezze. Insomma, c'è diffidenza e sospetto reciproci.

Costruire con loro una relazione basata sulla fiducia, sul rispetto, sull'amicizia, è una sfida difficile ma affascinante, perché ci costringe a conoscere meglio la loro cultura, a comprenderne le diversità e ad accettare i tempi lunghi per costruire una relazione, accogliendo anche la possibilità del fallimento...

Come laici missionari, la nostra presenza è soprattutto una presenza "solidale", di chi "cammina a fianco" e cerca di farsi prossimo, per conoscere ed entrare in relazione, tentando di superare le reciproche diffidenze e vivere, in semplicità, il messaggio evangelico della fraternità.

Creare fiducia e fraternità

Alessandro - Cerchiamo anche di aiutare la piccola comunità indio nella vendita dei loro oggetti artigianali così da garantire alle famiglie un reddito minimo. Senza fare beneficenza o assistenzialismo, ma cercando di valorizzare il loro lavoro. Le donne del villaggio infatti lavorano la fibra di taquara, una specie di bambù che raccolgono nella foresta; poi cercano di vendere i prodotti nei mercati delle città vicine. Una grande fatica per guadagnare qualcosa e provvedere alla famiglia.

Promovendo questi loro manufatti in Italia, approfittiamo per fare un po' di animazione missionaria e far conoscere la realtà degli indio in Brasile. L'obiettivo di questa piccola iniziativa non è solo di natura economica, ma di creare un rapporto che, attraverso il lavoro remunerato in modo giusto, contribuisca a dare dignità a chi produce questi oggetti e valorizzare queste persone: creare fiducia e fraternità, stima e promozione umana.

Abbiamo fatto alla comunità indio la proposta di affiancare a questa iniziativa un'attività "sociale": mettere una parte dei soldi che ricevono in una specie di cassa comune per finanziare opere di interesse comunitario. Hanno deciso di utilizzare il fondo comune per realizzare un orto comunitario che garantisca un'ulteriore fonte di alimentazione alle famiglie.

Tutto questo è stato possibile grazie alla "mediazione" di p. Diego Pelizzari, il saveriano bergamasco missionario tra gli indio per oltre vent'anni, che ci ha avvicinato alla cultura indigena e ci ha aiutato a creare legami e rapporti di fiducia.

Con i bambini del quartiere

Alessandra - Il secondo contesto in cui siamo inseriti - come famiglia, assieme ai nostri bambini - è il "Bom Samaritano". Ci ha fatto da "ponte" una coppia di laici saveriani brasiliani. È una struttura fondata da un missionario saveriano e inserita all'interno di un quartiere molto povero di Cantagalo, a circa 30 chilometri da Laranjeiras. Ogni giorno dà da mangiare a una sessantina di bambini del quartiere, quasi tutti provenienti da realtà famigliari difficili: precarietà, separazione, violenza, assenza di valori. Alcuni bambini vivono con i nonni, ma spesso sono i fratelli maggiori che si prendono cura dei più piccoli.

Anche qui noi cerchiamo di condividere un po' di tempo e di affetto. Giochiamo con loro, a volte parliamo di fede, ma soprattutto cerchiamo di aiutarli a vivere - nel gioco e nelle attività - alcuni atteggiamenti come l'amicizia, il perdono, il rispetto, l'ascolto..., allo stesso modo in cui cerchiamo di educare a questi atteggiamenti i nostri figli.



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