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Insieme: La missione in comunità

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Alessandro - Personalmente, uno degli aspetti che mi ha sempre più affascinato della spiritualità saveriana è quello legato allo spirito di famiglia. Non a caso, il fondatore pensò proprio a una famiglia di missionari che vivessero un vero spirito di famiglia "per fare del mondo una sola famiglia".

Sfida difficile e grande risorsa

La dimensione comunitaria è certo una sfida difficile, ma allo stesso tempo è anche una grande opportunità e risorsa per vivere la fede e la missione con coerenza, slancio e perseveranza. Noi crediamo profondamente e ostinatamente nel valore della comunità. Non a caso, prima di arrivare in Brasile e iniziare questa breve esperienza missionaria, uno dei criteri inderogabili che ha guidato la nostra ricerca è stato proprio quello di trovare una comunità dove i religiosi fossero disposti ad accogliere i laici, per sperimentare insieme la sfida della comunità e realizzare la missione insieme.

Siamo approdati a Laranjeiras dopo non poche fatiche, passando per percorsi travagliati. Abbiamo iniziato questa piccola avventura in Brasile restando ancorati fermamente al desiderio di sperimentare e vivere la comunità come modo autentico per vivere la missione. Sapevamo che non sarebbe stato facile. A volte prevale l'individualismo, la comodità del "fare da solo" per non doversi o volersi compromettere con gli altri. A volte prevale la voglia di non confrontarsi perché spesso è faticoso e fa male; altre volte prevale l'idea del "tanto non ne vale la pena", e molto altro ancora...

Sono cose normali e umanamente comprensibili. La nostra fortuna è stata quella di arrivare a quest'avventura con l'idea e il desiderio forte di voler dare priorità proprio alla dimensione comunitaria, prima che a qualsiasi altra cosa. Per questo abbiamo insistito sin da subito nel chiedere ai saveriani di avere dei momenti comuni nei quali programmare, confrontarci (e a volte lo facciamo in maniera... accesa), verificare, pregare, lavorare insieme.

Dalla comunità alla corresponsabilità

I primi mesi sono stati centrati - e con successo - nel cercare soprattutto di costruire la comunità attraverso questi momenti che ne rafforzassero l'unione. Ora quello su cui ci stiamo interrogando è come riuscire a vivere anche l'aspetto della corresponsabilità della missione, che preveda per esempio alcune attività pensate, programmate ed eventualmente fatte insieme, al di là di quelle individuali che ciascuno già porta avanti da solo o con l'aiuto di altre persone esterne.

Ovviamente si tratta di un percorso che si costruisce camminando, pian piano, ogni giorno. Certo, molte cose potevano andare meglio, ma possiamo valutare positivamente questa avventura. Ha rappresentato una novità, ma chissà che non possa rappresentare anche il primo passo per l'apertura a nuove frontiere e a nuove modalità di fare missione.

Il posto di Dio nella missione

Alessandra - Ultimo aspetto significativo di cui parlare pensando a questo nostro essere famiglia in missione è il posto di Dio.

Se ripensiamo al percorso lungo, tortuoso e sofferto che ha preceduto il nostro partire, non possiamo che pensarlo come a un lento percorso di purificazione. Dio ci ha condotti per mano per purificare la nostra idea di missione, per renderla meno dipendente dai nostri condizionamenti; ci ha condotti per mano a toccare i nostri limiti e le nostre fragilità, così che potessimo decidere di affidarci totalmente a lui e di confidare solo in lui.

È un percorso inevitabile, anche se ciascuno passa per modalità diverse. Lo possiamo chiamare "un cammino di spogliazione", o forse semplicemente "un cammino di fede", perché in fondo è quello che ci porta a doverci veramente fidare di Dio. Abbiamo bisogno di toccare il nostro fondo per radicare in lui - e solo in lui - le motivazioni del nostro agire, che altrimenti è solo "nostro" e non "suo", e rischia per questo di essere sterile.

Ora che siamo qui, ci rendiamo conto che questo cammino di purificazione fatto prima di partire è stato fondamentale per vivere bene la nostra presenza in Brasile. Quello che infatti stiamo sperimentando in missione è, prima di tutto, prima del fare, prima del relazionarci, prima del condividere, prima di ogni altra cosa... è soprattutto un'esperienza di affidamento a Dio. Se non fosse per lui, niente avrebbe razionalmente senso del nostro essere qui.

Essere al fianco di Dio

Alessandro - Quando si sperimenta l'esperienza dell'uscire fuori si sperimenta infatti, allo stesso tempo, l'esperienza della fragilità, della vulnerabilità, della precarietà. Un contesto tutto diverso, con lingua nuova e difficoltà a capire, a muoversi, a leggere e a comprendere la realtà e la cultura, con relazioni da ricostruire e tutto il resto...

A quel punto ci si rende conto che solo Dio può rappresentare la forza e il senso, l'origine e il fine di una presenza piccola e fragile come la nostra, che cerca di camminare insieme ad altri e farsi prossimo, senza pretese di gloria perché l'unica certezza e l'unica gloria è il sapere di essere al fianco di Dio.

Se non fosse infatti per la certezza che abbiamo in Dio e nel suo amore, ci sarebbe da chiedersi che senso abbia venire qui, lasciare anche solo per un anno quasi tutto ciò che uno ha, vivere la fatica dei sentimenti, del distacco, della lontananza dagli affetti - che coinvolge noi, i nostri figli, i nostri cari...

Vivere concretamente l'esperienza dell'uscita, insieme a tante altre cose, è una grazia che ti aiuta a riscoprire come solo Dio è la tua unica certezza. Questo nostro essere qui ci permette di poterlo ricordare ogni giorno, con la libertà di chi sa di avere poco, ma di essere ricco solo di questa certezza!

Dio è fedele e generoso

Concludiamo prendendo spunto dalle parole del vangelo di Giovanni che la liturgia ci propone nel tempo Pasquale: "Vi ho detto queste cose perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena... Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga" (Gv 15,11.16).

L'unica preoccupazione di chi segue Gesù è andare e portare frutto. Confidare in lui e vivere ogni giorno, pur nella propria fragilità, la Parola che egli ci ha lasciato: una parola che diventa servizio, presenza, condivisione; una parola che non fa esclusioni... A tutto il resto ci pensa il Padre, il Vignaiolo che pota, pulisce, si prende cura della vigna perché porti sempre più frutto.

Decidere di venire in Brasile e lasciare, anche se per poco tempo, quello che avevamo, è stato per noi un volerci fidare di Dio: lasciare perché fosse lui a ri-donare, sapendo che egli è un Dio fedele, del quale abbiamo sperimentato più volte la fedeltà. La testimonianza che possiamo dare è che ancora una volta, anche qui, Dio si è dimostrato fedele e generoso colmando di doni la nostra vita e regalandoci già il centuplo.

A chi ci legge diciamo solo una cosa: al di là di qualsiasi scelta e di qualsiasi luogo, non c'è niente che possa assicurare una gioia e una speranza più grande che il camminare nella vita sentendo sempre alle proprie orecchie un Padre che ti sussurra: "Non ti preoccupare, fidati di me".



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