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Ricordi di mezzo secolo, Ragazzi musulmani per amici

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Se devo riportare qualche flash della mia vita, inizierei dalla prima Messa, celebrata a Parma nell'istituto dell'infanzia abbandonata, quando nella predica ho detto ai bambini che "li amavo più dei miei genitori, più di me stesso". A fine Messa il padre anziano che mi aveva assistito mi rimproverò amabilmente: "Non dovevi dire quelle parole alla presenza dei tuoi genitori, per non dare loro dispiacere". Gli risposi che conoscevo bene i miei genitori ed ero sicuro che non si erano affatto sentiti offesi. Infatti, mi dissero che non erano gelosi dell'amore per gli orfani, perchè io appartenevo ormai a tutti coloro che non avevano famiglia.

In Pakistan orientale

Alla fine degli studi teologici sono partito per quella nazione che era nata solo da 15 anni, separandosi dall'India e che ora si chiama Bangladesh. Vi arrivai il 1° ottobre 1962, dopo quasi un mese di viaggio per terra e per mare, fino a Jessore, prima sede della diocesi affidata ai saveriani e al loro vescovo mons. Dante Battaglierin; lo stesso vescovo che mi aveva ordinato sacerdote a Parma il 15 ottobre 1961 insieme ad altri 25 confratelli. Ero finalmente arrivato nella "terra promessa" e sognata fin dall'adolescenza!

Alcuni giorni dopo il mio arrivo fui inviato a Barisal in una grande scuola diretta dai padri della Santa Croce per imparare la lingua bengalese. La scuola aveva l'inglese come lingua madre e si teneva solo al mattino; nel pomeriggio si doveva studiare, ma io preferivo usci­re e incontrare persone, soprattutto i ragazzi del luogo che mi aiutavano a imparare il bengalese il più presto possibile.

Le partite a pallone nel fango

Bastava il pallone o la radio portatile o la macchina fotografica, che un gruppetto, il cui capo si chiamava Anshar, mi veniva incontro battendo le mani e gridando: "Amico, amico, amico!". L'amicizia tra noi è cresciuta a tal punto che mi chiesero perchè non ero sposato e Anshar mi invitò a casa sua a bere il tè.

In seguito mi chiesero di partecipare a un torneo di calcio tra varie scuole di giovani e accettai con piacere, ma mi accorsi subito che soltanto io avevo le scarpe bullonate. I ragazzi erano scalzi e stavo molto attento a non toccarli. Feci solo quattro partite, perché il torneo si interruppe a causa di litigi tra i tifosi di squadre avversarie. È stato meglio così, perchè non avevo vinto nessuna partita: non ero abituato a giocare nel fango come facevano loro.

Però è stata un'esperienza positiva. Ho dato almeno un buon esempio di pazienza e amicizia, e ho cominciato a capire che a loro appartiene il regno dei cieli, come ha insegnato Gesù, quando gli apostoli vole­vano scacciare i bambini perchè non disturbassero.



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