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Quaresima sì, ma come…? - La pausa di un vescovo ''pensionato''

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Per aiutare la fantasia della nostra quaresima, in quest'anno della fede, può essere di aiuto la pausa che un vescovo è venuto a prendersi al centro di spiritualità saveriana di Tavernerio. Si tratta di mons. Giorgio Biguzzi, saveriano romagnolo, che un giorno ci ha detto: "Ho concluso il mio mandato nella diocesi di Makeni, in Sierra Leone. Se avete la gentilezza di accogliermi, mi piacerebbe prendere una pausa di riflessione, una specie di tempo quaresimale".

L'esigenza di fermarsi

E continua: "Da quando ho sottoposto le spalle al peso del servizio pastorale, è aumentata in me la fatica di raccogliermi con assiduità: ero preso da mille faccende. Per venticinque anni ho abitato in una nazione popolata da musulmani e protestanti. Ho dovuto trattare con ogni tipo di istituzione pubblica e interessarmi di faccende private della gente. Ho dovuto preoccuparmi di cose che entravano in collisione con l'annuncio del vangelo. Insieme ai missionari e alla gente, ho sperimentato la rapidità con cui la guerra devasta tutto.

Ora mi piacerebbe fermarmi a ringraziare il Signore, per aver visto con i miei occhi la genialità con cui la speranza fa germinare comportamenti e gesti capaci di sovvertire le situazioni di violenza e di morte. Sento l'esigenza di tornare con il cuore sulla grazia che ho ricevuto, diventando vescovo".

La croce dell'amico Nino

Mons. Giorgio Biguzzi iniziò il suo servizio episcopale con una lettera del Papa che lo nominava vescovo della diocesi di Makeni, in Sierra Leone. Fino a quel giorno, egli svolgeva la funzione di "maestro" dei novizi saveriani.

La direzione della sua vita mutò decisamente. Attorno a lui furono molti gli amici a esprimergli stima e solidarietà. Ricordo in particolare l'amico Nino che gli aveva promesso: "La croce da vescovo gliela regalo io!". Nino era fabbro e batteva il ferro con la stessa abilità delle donne che ricamano il pizzo di Cantù.

Mons. Giorgio prese in mano la carta dell'Africa: la nuova missione a cui era stato destinato era lontana cinquemila chilometri. La geografia gli diceva che alla frontiera tra Sierra Leone e Liberia soffiavano venti di ribellione. E si affidò alla preghiera. Ma come doveva essere la preghiera di un giovane missionario che viene scelto per essere pastore di una diocesi?

Il piano pastorale e poi la terribile guerra

Una volta sbarcato in Africa il vescovo Giorgio si applicò ad abbozzare un piano pastorale che desse organicità e radice alla chiesa nascente. Primo, creare una rete di collaboratori per dare impulso all'opera di evangelizzazione. Secondo, dare uniformità alla catechesi su tutto il territorio, senza trascurare il dovere di sensibilizzare la popolazione sui problemi della giustizia e della pace. Terzo, inventare forme di sostentamento per assicurare che la chiesa di Makeni non dovesse dipendere sempre dall'aiuto esterno.

Il piano si rivelò congeniale e tenne per più di due anni. La fede aggregava la gente e le strutture  di nuove scuole e chiese aiutavano la gente a vivere con dignità. Ma quando sembrava che la Provvidenza stesse guidando il cammino delle giovani comunità cristiane, in Sierra Leone esplose la guerra civile.

I ribelli, addestrati in Liberia, invasero il sud della Sierra Leone. Il loro obiettivo era quello di predare i diamanti di cui il Paese è ricco. Nella missione più lontana dal centro, i ribelli sequestrarono sette saveriane. Le avevano assalite con l'intenzione di derubarle. Ma, delusi per non aver trovato il bottino, sequestrarono le missionarie e fecero perdere le loro tracce per 53 giorni. Furono liberate il 21 marzo 1995: sane e salve, grazie a Dio...

Come un albero che cresce

La guerra civile inferocì ulteriormente dal 1999, per dieci anni, con le truppe dei ribelli infoltite dai ragazzi soldato: un fenomeno che continua ancora oggi a mantenere proporzioni drammatiche e inaccettabili in varie parti del mondo, dove c'è guerra. Testimonia p. Mosele, uno dei saveriani sequestrati, che i loro guardiani erano ragazzi armati fino ai denti. Tenevano la radio accesa a tutto volume, giorno e notte. Ma le ragazze cristiane avevano trovato il modo per far giungere ai missionari prigionieri un pasto al giorno...

Era come se la diocesi di Makeni fosse finita improvvisamente dentro un baratro. Come uscire dalla tragedia della lunga guerra? Come ricomporre le comunità e alimentare la speranza della gente? Il passato non si cancella, ma il male si vince con il bene; la vita deve continuare imparando a perdonare, come ha fatto Gesù.

Vescovo e missionari si sono avvicinati ancora di più alla gente per dare fiducia e speranza. È stato fatto anche un patto tra cattolici, protestanti e musulmani, in modo che le religioni si trasformino in agenti di riconciliazione. Davanti al centro pastorale di Makeni è stato esposto un cartello: chi entrava, leggeva "Benvenuto!"; chi usciva, leggeva "Siate segni di speranza".

Il vescovo Giorgio assicura che la diocesi di Makeni è ora come un alberello, rinato dalle ceneri di un incendio, e comincia a dare frutti buoni. Un messaggio che vale anche per noi: "Se vuoi la pace, lavora per la giustizia e... perdona!".



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