Pulizie pasquali e altri pensieri
Senza volere, con un po’ di nostalgia, sono tornata con il ricordo alle mie prime esperienze quaresimali: al tempo dei “fioretti”, delle prime confessioni, alla fanciullezza.
Le pulizie pasquali
Vengo dalla campagna. E a quei tempi in campagna (non so in città), fare le pulizie pasquali voleva dire mettere la casa sotto sopra, dare aria e sole ai materassi, ai cuscini, ai panni. Si usava con energia il battipanni e assieme alla scopa e allo spazzettone (allora non c’era l’aspirapolvere) andava molto di moda l’unto di gomito, ossia la fatica delle braccia.
Tutti nella casa, chi più chi meno, partecipavano a questa operazione. Capitava così che venissero alla luce degli oggetti dimenticati o che si credevano smarriti. Quel tipo di pulizia andava di pari passo con quella del cuore che si concludeva nel confessionale.
La borsa per i poveri
C’era anche un’altra tradizione da rispettare e che non era secondaria: il parroco passava nelle case (tutte!), con il fidato campanaro / sacrestano / tutto fare, per la benedizione e, oltre all’acqua santa, portava con sé una vecchia borsa sgangherata, ma molto capiente che era per la carità dei poveri.
Ricordo le uova e i polli che venivano consegnati recalcitranti nelle mani del campanaro. Ma dentro alla borsa ci finiva sicuramente anche dell’altro. A fine giornata la borsa tornava in canonica sempre vuota e sparivano pure quasi tutte le galline. Tutti avevano ricevuto qualcosa!
Il buon sapore della carità
Questi scambi avvenivano nell’anonimato, con la più assoluta discrezione. Come nell’esperimento dei vasi comunicanti, di memoria scolastica, ogni vaso riceveva la medesima parte di acqua.
Era il catechismo applicato, il vangelo vissuto senza troppe parole.
Il giorno della Risurrezione ci si incontrava a Messa, attorno all’altare, pacificati e grati al Signore per quel poco di bene che si era fatto o si era ricevuto. Così di quaresima in quaresima, mi è rimasto il buon sapore della carità, di quella carità anonima che solo il Signore conosce.
Ogni giorno è ricco di doni
In tempi più recenti ho raccolto le confidenze del mio parroco d’allora, quando, ormai novantenne, lo visitavo a Villa Sant’Ilario. Passeggiavamo lungo i viali e spesso mi chiedeva a bruciapelo fermandosi di botto: “Secondo lei (il “lei” era di rigore!) andrò in paradiso?”. E aveva negli occhi uno strano luccichio. Sembrava un bambino impaziente di ricevere un dono, ma timoroso di non meritarlo.
Ogni giorno che c’è dato da vivere è ricco di doni: basta saperli riconoscere, accoglierli e poi farsi a nostra volta agli altri e a Dio come… dono.
Auguro a tutti di vivere camminando sempre con il Signore.