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Più ruoli, con la stessa fede

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La incontro nel laboratorio a conduzione familiare, dove la signora Anita (nella foto sopra) passa le giornate a mettere in ordine contabilità e burocrazia. Suo marito Piero, il titolare, e i loro due figli, Marco e Andrea, si occupano invece del servizio ai clienti.

''Ci metto faccia e cuore…''

Mi dice: “Padre, i ritmi, le tensioni e i ritardi che si accumulano a lavorare assieme, incidono e lasciano tracce nei ruoli e nei rapporti; poi, le cose si intrecciano e perdono il confine. Fino alla sera, quando riapriamo la porta di casa. Lì ci metto la faccia e il cuore per preparare e servire il pasto per tutti e quattro. È un momento forte per il clima di famiglia.

Mi sento amata proprio perché incarno una donna normale e rendo serena la famiglia”.

Mi piace ascoltare Anita, anche quando racconta che per lei è fondamentale ritagliarsi spazi personali. Mi confida che recita ancora oggi le preghiere imparate sulle ginocchia di sua mamma. Si ispira alla fede per rispondere alle esigenze che si moltiplicano. Ora, ad esempio, prova un po’ di angoscia perché non sa cosa pagherebbe per incoraggiare i due figli a fare esperienza del desiderio di metter su famiglia.

''Tu non sembri una donna italiana''

“Quest’anno sono riuscita a realizzare un desiderio che avevo da tempo. Ho convinto marito e figli ad andare quattro giorni tutti insieme al mare. Eravamo in una zona di scogli e un giorno Piero, Marco e Andrea si sono accordati per farmi una sorpresa: pescare pesce di scoglio e arrostirlo alla grigia. Il mare era agitato e un’onda più alta ha inghiottito Piero. Marco e Andrea non hanno perso un attimo; si sono tuffati e lo hanno salvato, liberandolo dagli stivali e dal giubbotto… I nostri figli hanno dentro una forza che salva!”.

Ho rivisto nei giorni scorsi Anita. Mi aspettava con una nuova sorpresa.

Racconta: “Ho passato due settimane a casa per seguire un’impresa che doveva riparare una perdita. Il primo operaio, marocchino, parlava un italiano pieno di cicatrici; mi dice: «Signora, ti vedo lavorare come un uomo. Ci ricordi le nostre donne. Loro fanno lavori pesanti. Tu non sembri una donna italiana, di quelle che sono sempre agitate». Un altro operaio marocchino mi ha detto: «Sono arrivato a 19 anni dal Marocco. Ora pago le tasse e il mutuo e non accetto che gente dalla mia terra si dedichi allo spaccio». L’ultimo giorno di lavoro, il capo mi ha salutato con una promessa: «Sei così brava che, finito il ramadan, ti porterò un piatto di riso dolce»”.

Credo che tante donne come Anita vorrebbero scrivere a papa Francesco per chiedergli come spiegherebbe ai loro figli cosa vuol dire, oggi in Italia, vivere in famiglia da cristiani.



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