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Più si legge Evangelii gaudium più ci si rende conto che è uno scritto di grande freschezza evangelica e umana, propositivo e stimolante. È un inno alla gioia del vangelo e conferma che la parola di Gesù, detta duemila anni fa, porta con sé una ricchezza che è ancor oggi attuale, in grado di “muovere” lo spirito delle donne e degli uomini.

Di questo documento straordinario, scritto con grande semplicità e leggibile per tutti, prendiamo qui in considerazione la parte che s’intitola: “Fedeltà al vangelo per non correre invano” (numeri 193-216).

Un doppio sogno

Papa Francesco insegue un duplice sogno, che tuttavia ha una sola matrice: egli desidera una “chiesa povera per i poveri” (198) e sogna una comunità cristiana che sappia "ascoltare il grido dei poveri" (193). Questo per il papa significa vivere e compiere la grande beatitudine evangelica: "Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia".

E commenta: "È un messaggio così chiaro, così diretto, così semplice, che nessuna interpretazione ecclesiale ha il diritto di relativizzarlo" (193).

Mai può mancare "l'attenzione per gli ultimi, per quelli che la società scarta e getta via" (195).

Il discorso del papa si articola in quattro passaggi fondamentali.

1. Non solo “buon cuore”

"Per la chiesa l'opzione per i poveri è una categoria teologica prima che culturale, sociologica, politica o filosofica" (198). Cioè, l’impegno per i poveri riguarda la stessa fede del credente, non solo il suo buon cuore o il suo senso di giustizia per una società ben ordinata. È la stessa fede in Dio che esige la scelta a favore dei poveri, con buona pace di coloro che in passato (e non solo in passato) la dichiaravano una scelta ideologica di sinistra.

2. Non affogare nelle parole

Infatti, "senza l'opzione preferenziale per i poveri, l'annuncio del vangelo, che pure è la prima carità, rischia di essere incompreso o di affogare in quel mare di parole a cui l'odierna società della comunicazione quotidianamente ci espone" (199). Per il papa nessuno dovrebbe dire che sta lontano dai poveri perché le sue scelte di vita comportano di prestare più attenzione ad altre incombenze importanti.

È così facile, infatti, trovare scuse per non occuparsi dei poveri! Chi dice che la povertà va affrontata a livello politico, a livello delle grandi compagnie multinazionali, chi si accontenta di studiare le dinamiche che producono la povertà senza sporcarsi le mani con i poveri, chi ha paura del comunismo…

Il papa ricorda a tutti che nessuno può sentirsi esonerato dalla preoccupazione per i poveri e per la giustizia sociale (201).

3. Agire in fretta

Si deve agire con urgenza perché, secondo papa Francesco, "la necessità di risolvere le cause strutturali della povertà non può attendere" (202). Non possono bastare i piani assistenziali, che fanno fronte ad alcune urgenze. Essi sono delle risposte provvisorie. Finché non si risolveranno radicalmente i problemi dei poveri, rinunciando all'autonomia assoluta del mercato e della speculazione finanziaria e aggredendo le cause strutturali dell'inequità, non si risolveranno i problemi del mondo, e in definitiva nessun problema.

Scrive papa Francesc​o: "Dà fastidio che si parli di etica, dà fastidio che si parli di solidarietà mondiale, dà fastidio che si parli di distribuzione dei beni, dà fastidio che si parli di difendere i posti di lavoro, dà fastidio che si parli della dignità dei deboli, dà fastidio che si parli di un Dio che esige un impegno per la giustizia…

La comoda indifferenza di fronte a queste questioni svuota la nostra vita e le nostre parole di ogni significato" (203).

4. Curare la fragilità

Infine occorre "avere cura della fragilità" (209). Cioè, prendersi cura dei più fragili della terra: i senza-tetto, i tossico dipendenti, i rifugiati, i popoli indigeni, gli anziani sempre più soli e abbandonati, i migranti, le donne che soffrono situazioni di esclusione... "Tutti noi cristiani - conclude il papa - siamo chiamati a prenderci cura della fragilità del popolo e del mondo in cui viviamo" (209).

Viene spontaneo chiedere a noi stessi:

A che punto siamo? Da che parte stiamo? Quanto siamo noi veramente “fedeli” al vangelo di Cristo? Stiamo… “correndo invano”?



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