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La Pasqua di quest'anno - che ho celebrato in Burundi, da dove scrivo - resterà nella nostra memoria e in quella della chiesa come una Pasqua del tutto singolare. Pasqua, secondo la più comune etimologia, vuol dire «passaggio»: quel primo passaggio del Signore in Egitto nella notte della liberazione del popolo eletto; e poi il passaggio di Gesù Cristo da questo mondo al Padre nell'ora della passione e della risurrezione.

Il Signore ci "passa" accanto

Celebrare la Pasqua è quindi accogliere il Signore che passa e ci coinvolge nel suo passaggio verso il Padre. Questa è la grande festa annuale dei cristiani, che non è solo un ricordo di un fatto storico passato, ma una celebrazione che ci permette di rivivere e di appropriarci dei beni che il Signore ci ha assicurato con il suo sacrificio pasquale.

Pasqua quindi per chi crede è liberazione, crescita e rinnovamento della vita cristiana. Pasqua apre sempre nuove prospettive alla comunità cristiana nel suo pellegrinaggio verso la patria eterna, dove "saremo sempre con lui".

È Gesù il vero pastore

Pasqua quest'anno è stata per tutta la chiesa anche un passaggio storico della suprema responsabilità della chiesa dalle mani di papa Benedetto a quelle di papa Francesco. Nella Pasqua di quest'anno il Signore è passato in modo straordinario tra di noi, mostrandoci che è lui che guida la sua chiesa, come ha guidato il popolo eletto.

Gesù, il vero Pastore della chiesa, ci ha mostrato che egli è sempre presente e nella persona del vescovo di Roma, successore di Pietro, egli continua a condurre il suo popolo sulle strade della storia verso il Padre. Lo fa attraverso i suoi nuovi apostoli, i successori di quei "dodici" che hanno vissuto la prima Pasqua di Gesù, prima nella paura e nel dubbio e poi nella gioia della ritrovata compagnia di Colui che rimane sempre nella sua chiesa, come Capo e Pastore, e che con il suo Spirito la fa vivere.

Incredulità e comprensione

Certo, la decisione di Benedetto XVI, inusuale e inattesa, ha fatto pensare e parlare molto. Anche qui in Burundi la gente incredula si chiedeva che cosa avesse provocato la decisione del Papa di lasciare il suo posto. Poi a poco a poco, illuminata dalla parola dei pastori locali, ha cominciato a comprendere la scelta del Papa e a rispondere a coloro (ci sono dappertutto, anche in Africa) che credevano di poter dire che il Papa aveva fatto male, che era stato debole, aveva ceduto ai suoi avversari, aveva abbandonato la croce e non aveva seguito l'esempio di Giovanni Paolo II.

Tutti hanno potuto rendersi conto che anche il Papa è e rimane un uomo con tutti i limiti di un uomo; che anch'egli deve fare i conti con le sue forze; che non s'aspetta miracoli per supplire alla malferma salute e alla debolezza. Ma l'ha fatto nella preghiera e nell'umile ascolto della voce di Dio.

Il papa saggio e umile

È emersa così la saggezza e la grandezza del gesto del Papa. Già all'inizio del suo pontificato Benedetto XVI aveva detto parole chiare che anticipavano questa coraggiosa rinuncia: «Non sono che un umile lavoratore nella vigna del Signore».

Egli succedeva a un Papa che era stato come un uragano per la chiesa. Era consapevole di non poter imitare la forza né di poter seguire lo stile spumeggiante di Giovanni Paolo II. Sapeva anche che per la sua età sarebbe stato un papa di transizione e che avrebbe avuto un periodo limitato di tempo, e perciò non si proponeva né grandi riforme né gesti clamorosi.

Ma ci ha lasciato ugualmente un tesoro di insegnamento tanto profondo quanto semplice e accessibile a tutti, con le sue encicliche e i suoi discorsi. L'«umile lavoratore nella vigna del Signore» si è trovato però a gestire un tempo di passaggio carico di problemi che probabilmente, prima ancora di essere eletto Papa, sapeva si stavano accumulando all'orizzonte della chiesa.

Questo rende ancora più grande la statura di Benedetto XVI, uomo lucido e generoso che, senza farsi illusioni, ha sottoposto coraggiosamente alla croce le sue spalle già stanche e che, quando ha capito di non potercela più fare, in tutta semplicità e umiltà ha rimesso il suo mandato, provocando questo passaggio epocale, questa inedita Pasqua che abbiamo vissuto.

Il papa della fraternità

   Ora il passaggio è avvenuto e la chiesa ha un altro papa - Francesco - perché il Signore non abbandona la sua chiesa, ma l'accompagna e le assicura il pastore di cui ha bisogno: quel pastore visibile che segna il posto del Buon Pastore invisibile, ma sempre con noi, il quale dice ancora a Pietro: "Prendi il largo e getta le reti per la pesca". Una pesca che non potrà che essere abbondante e fruttuosa.



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