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Caro Corrado,

non ho dimenticato quanto mi hai chiesto più volte: “Per favore non scrivete niente su di me e lasciate perdere il profilo biografico…”. Ma ti farei un torto più grande rimanendo, ora, in silenzio.

Di parole ne dicevi poche. Parlavi con il sorriso, con il tuo grande cuore e con i tuoi occhi. Da quando non ci sei più, passando davanti alla tua stanza sento ancora quel “ti accompagno con la preghiera”. Era il tuo saluto quando ogni sabato partivo per la parrocchia. La preghiera ti conduceva in chiesa anche fuori orario e nella tua stanza a tutte le ore. Mai rumorosa, non per te, ma per tutti, di intercessione per il mondo, per gli amici, per i fratelli.

Già, i fratelli. “Fratello” o “Fratellino” era il nomignolo che ci davi quando ti rivolgevi a noi; il tono era sempre bonario, sia che tu facessi un complimento, sia che tu dovessi muovere un appunto o un’osservazione. Perché eri un uomo buono, un fratello buono. Chiunque ti abbia incontrato si ricorderà dei tuoi occhi celesti come il cielo alle otto del mattino, sul volto sereno da grande vecchio.
La fraternità ti ha sempre accompagnato e permesso di accogliere tutti i servizi e le mansioni che ti sono stati richiesti. Un “servitore buono e fedele”, di quelli che non fanno prediche. Tu parlavi in silenzio, lasciavi la Parola alle Opere di quella misericordia corporale e spirituale di cui ti eri fatto vero sacerdote. Per favore, continua a pregare per tutti noi (p. Oliviero Verzeletti, sx).

Ho conosciuto p. Stradiotto quando sono arrivato in questa casa nel settembre 2017. Ho apprezzato molto il suo stile di vita semplice, umile, nascosto. Lui, che in passato aveva avuto una grande responsabilità nella gestione economica, si è messo a disposizione con un’umiltà ammirevole.

Uomo di vita interiore e preghiera, spesso lo trovavo in cappella, in dialogo con il Signore. Ho visto in lui l’ideale dell’umanità del saveriano: gentile, rispettoso, accogliente, sorridente, paziente… Più volte, mi ripeteva: “Mi sto preparando per andare all’incontro con il Signore”. E lo diceva serenamente e gioiosamente.

Quando in febbraio gli abbiamo detto che sarebbe stato meglio per lui andare a Parma, vista la sua condizione di salute, ho sofferto molto. Perché mi dispiaceva “perderlo” come confratello e perché, dopo più di 20 anni a Roma, mi sembrava che per lui fosse un grande sforzo. Invece, quando siamo andati a trovarlo, è lui che ci ha incoraggiati.

Quando tornavo a casa dopo i viaggi nelle nostre missioni, mi accoglieva sempre con un grande abbraccio, dandomi il benvenuto. Mi diceva che era molto contento che io fossi nella comunità. Ringrazio il Signore di averlo avuto come confratello quale membro della Famiglia saveriana. È stato un grande dono per noi tutti: la santità nella vita quotidiana (p. Fernando Garcia, sx).



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