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Padre Mimmo Pietanza: L’importanza dell’aiuto reciproco

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Intervista a padre Mimmo in Bangladesh

Padre Domenico Pietanza, saveriano di Mola di Bari, in Italia per riposo, ci ha parlato della sua attività missionaria. È in Bangladesh dal 1985 e ha lavorato in quattro zone diverse. Ha trascorso gli ultimi quattro anni come parroco a Baniarchor.

Com’è composta la missione di Baniarchor?

È un insieme di villaggi dove viviamo noi cattolici e altre nove chiese cristiane. Alcune sono chiese riconosciute, come i battisti; altre invece sono chiese “personali” , nate alcuni anni fa, per l’intraprendenza di persone che sono andate all’estero a studiare e che poi, tornate in Bangladesh, hanno creato delle chiese. Tutta l’area è piuttosto depressa per cui, durante la stagione delle piogge, viene allagata dall’acqua.

Le case sono costruite su isolotti elevati. C’è una strada sopraelevata con tanti ponti che permettono alle barche di passare da una parte all’altra. La parrocchia è composta da quattro comunità: due vicine e due lontane. Una comunità dista un’ora di barca; ma nella stagione secca vi si può andare solo a piedi.

Avete anche scuole?

Abbiamo una scuola elementare e media con 350 alunni, diretta da una suora bengalese. Un’altra scuola elementare con

50 alunni è in un villaggio lontano. L’ha voluta il vescovo, altrimenti tutti quei bambini sarebbero rimasti analfabeti.

Ti aiuta qualcuno?

Nelle gestione della missione mi aiutano tre catechisti, che sono i leader delle comunità. Mantengono i contatti con la gente e con il missionario; mi danno una mano nella catechesi; dirigono la celebrazione domenicale quando il sacerdote non è presente.

Come hai impostato l’attività missionaria?

Mi hanno mandato nella missione di Baniarchor dopo un periodo di gestione da parte di sacerdoti diocesani durato 15 anni. La prima decisione che ho preso è stata quella di dare più importanza alla catechesi, con particolare attenzione ai sacramenti. È un modo per riflettere con la gente sul futuro, sulla vita.

Ho seguito molto anche l’istruzione scolastica. Alcune famiglie non mandavano i bambini a scuola, perché erano povere ed emarginate. Ho incontrato queste persone varie volte, con la collaborazione dei leader della zona. Per i papà è un problema lasciare andare a scuola i figli perché li aiutano nei campi o nella pesca. Ho cercato di recuperare un po’ di ragazzi; in alcuni casi ci sono riuscito, in altri no.

Le soddisfazioni più belle?

Quando sono arrivato, mi sono accorto che c’erano pochi cattolici inseriti nelle cooperative. Se avevano bisogno di qualcosa andavano dal parroco in cerca di aiuto. Ho cercato di insistere perché cambiassero modo di fare. Ho insegnato l’importanza del risparmio e dell’aiuto reciproco tra le famiglie del luogo facendo gruppo. Ora molti aderiscono  all’iniziativa e si aiutano.

Come si organizzano?

In Bangladesh, la Caritas organizza i gruppi di aiuto. Entrando nei gruppi, tutte le persone in difficoltà possono ricevere dei prestiti per affrontare le spese o pagare i debiti. La Caritas ha un fondo controllato da un presidente e un cassiere. Ogni settimana i membri depositano una certa cifra nel fondo comune e dopo un anno possono accedere al prestito.

Questo crea coesione nel gruppo e, in situazione di bisogno, scatta il desiderio di aiutarsi. Io ho favorito questo tipo di organizzazione in parrocchia. Quando la gente si è accorta che il missionario non aiutava così facilmente, è stata indotta a partecipare all’iniziativa.

E chi non ce la fa?

Di solito sono persone che lavorano e possono contribuire. Se capisco che c’è qualche possibilità, allora cerco di incoraggiarli a entrare in un gruppo. Questo metodo fa capire loro il valore dei soldi; nessuno può fare il furbo. I poveracci o i disabili, invece, li aiuto volentieri con il fondo di carità della missione.



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