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P. Sommacal, operoso e fedele

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Sabato 18 novembre, se ne è andato, in modo inatteso, p. Raimondo Sommacal. Mercoledì 15, l’improvvisa sensazione di una testa fuori controllo, la corsa al Pronto Soccorso, il ricovero e la diagnosi dell’emorragia cerebrale che se lo sarebbe portato via.

P. Raimondo era, verosimilmente, il Saveriano della Casa Madre più conosciuto in città e la notizia, diffusasi velocemente, non poteva non creare sgomento. La sera del 19 novembre, per la recita del S. Rosario e il giorno successivo per la celebrazione dell’Eucarestia di esequie, il Santuario si è riempito di gente, i tanti amici delle parrocchie in cui con maggiore continuità aveva svolto il suo ministero: Sacro Cuore e S. Uldarico. E c’erano filippini, polacchi, rumeni, peruviani, anglofoni, francofoni… scene che richiamavano alla mente la Pentecoste.

I suoi fruttuosi giorni di vita erano iniziati a Mier-Mares, tra le montagne bellunesi, il 14 ottobre 1943. Entrato ragazzino nel Seminario di Feltre, il cuore che già batteva per la missione, se ne era staccato per entrare tra i missionari Saveriani nel 1960. Ordinato presbitero il 26 settembre 1971, ricevette l’obbedienza di servire come vicario cooperatore nella parrocchia del vicino Tempio del Sacro Cuore (Parma) e vi rimase fino al 1979, lasciandosi dietro rimpianti e tanto affetto.
Seguì il lungo periodo di lavoro in Africa, Repubblica Democratica del Congo. Difficile seguirlo nei numerosi spostamenti, incarichi e servizi che vi svolse: pastore zelante, formatore di seminaristi, superiore… vivendo con operosa fedeltà e senza chiasso, come dice un proverbio africano: “la manioca fruttifica là dove viene gettata”. 

Nel 2011, all’età di 68 anni, lascia il Congo perché i Superiori lo richiamano in Italia. Trascorre il resto dei suoi anni a Parma, dove continua a realizzare con efficacia il suo desiderio, come scrive lui stesso in una specie di sintesi dell’ideale di vita sacerdotale: “essere in mezzo alla gente”. Una frase in sé abbastanza semplice e disadorna, non fosse che, nel suo caso, si può dire ispirata a quella di Gesù che passava facendo del bene.

Nel 2015, il vescovo mons. Solmi gli aveva affidato l’incarico di coordinare tutta la pastorale dei migranti, nell’ambito della Commissione diocesana “Migrantes”. Qui, pur continuando un intensissimo ministero pastorale, specie a S. Uldarico, visite ai malati, gruppi di preghiera e lectio divina, ha profuso una passione che in nulla poteva sembrare un ripiego rispetto agli anni della sua missione in Africa.
Gli dobbiamo molto anche noi della comunità della Casa Madre. Con le parole e soprattutto con l’esempio, ci ha offerto un modello di fraternità, col suo volto rubicondo, accompagnato dal sorriso di una mite pace interiore che gli veniva dalla profonda unione con Dio.




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