P. Arrigoni, ''il piccone'': Ricordi del tempo a S. Pietro in Vincoli
Dopo il funerale a Parma, dove p. Giuseppe Arrigoni si è spento il 29 settembre scorso, i parenti e tanti amici hanno voluto dare l'ultimo saluto al missionario anche a Pioppa di Cesena, suo paese natale. Sono state numerose le testimonianze su di lui, una migliore dell'altra; si aggiungono a quelle già riportate su questa pagina nel mese scorso.
Mai con le mani in mano
Per conoscere p. Arrigoni bisognava avvicinarlo personalmente e non è facile raccontarlo. Lui stesso aveva sentito il bisogno di descriversi nel libro-diario "Zingaro di Dio", ripubblicato in "Aurora sul lago Tanganika", sempre a cura dell'amico Zavatti di Forlì. Io voglio limitarmi a ricordarlo come "il piccone", il nomignolo meritatosi in Africa e valido anche per i sei anni durante i quali era stato rettore della comunità saveriana di S. Pietro in Vincoli, dal giugno 1985 al giugno 1991.
Appena arrivato, infatti, sentì il bisogno di un'auto nuova per poter girare molto e di una... betoniera per le tante cose da risistemare in casa, in modo da renderla più accogliente. Portano la sua firma il bel viale di accesso, il parco di pini con viali circolari, la pavimentazione del piazzale e dei vialetti del giardino, il capannone per incontri nel parco, ricavato da una vecchia conigliera. Anche all'interno della casa non c'è angolo in cui non abbia messo mano.
L'ossigeno come arredo
Padre Giuseppe era un "piccone" anche come animatore missionario nei gruppi parrocchiali e con i giovani. Non lo dimenticheranno quelli di Torre del Moro e nemmeno il nostro Paolo Mantellini, che sulla bara ha potuto dirgli "grazie per la vocazione missionaria". Don Mario Ricca gli avrà fatto festa in cielo per averlo trapiantato da una parrocchia di Forlì a una missione del Congo.
Anche quando negli ultimi due anni era malato, è stato un "piccone" nell'affrontare con consapevolezza e serenità quanto il Signore gli stava chiedendo, testimone della vocazione missionaria nel portare la croce, dando serenità a quanti lo avvicinavano, sacerdoti e laici, sempre disponibile a riceverli.
Per questo aveva voluto come suo studio la saletta dell'ingresso: pochi libri, ma una scorta di bombolette di ossigeno erano il suo arredo. E solo quando il clima non era più in grado di sostenerlo e a Parma poteva usufruire di cure più intense, accettò il trasferimento.
Anche se sulla sua bara abbiamo chiesto al Signore di mandarci "un altro Arrigoni", vorremmo che nel frattempo egli continui a picconare ancora questa sua Romagna missionaria.