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Nuovo inizio: Nel centenario della chiesa a Bukavu

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Saveriani in cammino con i congolesi

I missionari saveriani arrivano nel Congo per la prima volta nel 1958. Già dall'inizio, hanno una visione chiara del programma pastorale: fondare la chiesa là dove non esiste. Hanno avuto come professore di teologia missionaria il saveriano p. Danilo Catarzi, che è nominato primo vescovo di Uvira nel 1962. Con lui, il gruppo è compatto e dedito a una grande causa. Erigono parrocchie, costruiscono scuole e si impegnano nella formazione dei seminaristi, degli agenti pastorali, dei catechisti e dei responsabili di comunità.

Anni ’80: comunità di base e inculturazione

Alla guida dell'immenso Paese - che allora si chiamava Zaire - c'è il dittatore Mobutu, che consolida la sua dittatura con l’ideologia dell’autenticità, mentre installa il partito-stato. I vescovi nel 1979 intervengono con una dichiarazione - “Appello per il raddrizzamento della nazione” - e con la denuncia del “male zairese”. Questo “male” consiste nella crisi profonda delle strutture e della morale della nazione. Il fossato tra ricchi e poveri aumenta di giorno in giorno. La gente è delusa e vive nella passività.

Anche i missionari saveriani espongono una denuncia del "male": "Questa nostra società ha perso il senso dell’uomo e del bene comune, il senso della giustizia e del lavoro onesto, il senso della verità e del rispetto della parola data” (1° capitolo saveriano congolese, del 1970, n.26). Per rimediare, scelgono come priorità la creazione delle piccole comunità cristiane, la promozione umana, l’acculturazione del messaggio evangelico, l’attenzione particolare ai giovani…

Il gruppo di cristiani che, secondo la tradizione, il catechista dirige come un piccolo parroco, si trasforma in comunità alternativa, dove tutti si sentono membra vive e svolgono i vari piccoli compiti di servizio alla comunità. Noi missionari incoraggiamo le piccole iniziative autonome e ci dedichiamo alla formazione dei nuovi “ministeri”.

Per l’acculturazione valorizziamo l’Africa bella, l’Africa della tradizione, il culto degli antenati, la gioia di vivere, lo spirito di solidarietà, la cultura delle relazioni, la capacità di dialogo, il non lasciarsi trascinare nella spirale della violenza… La differenza delle etnie e delle culture - come è stato detto - “non è segno di sottrazione, ma uno scrigno di pietre preziose”.

Celebriamo liturgie nuove con la “Messa zairese”. Parliamo di teologia, di arte e musica africana. Crediamo nell’uomo e nella donna di questo continente, per la tenacia nel ricominciare sempre da capo, per la fantasia e lo spirito d'iniziativa, la creatività e il senso di dignità, l’ottimismo e la tendenza a sdrammatizzare i problemi… Confidiamo nei giovani, che sono numerosi (più del sessanta per cento della popolazione), nella loro sete di sapere e nella loro speranza di futuro. Organizziamo le feste della gioventù e cicli di incontri formativi.

L’Africa manifesta un eros naturale, spontaneo e sincero, un amore ascendente. Ha l’energia vitale. Vive nel desiderio e veglia nell’attesa. Crede nel suo futuro.

Anni '90: primo sogno di democrazia

Dopo trent'anni di dittatura, si inizia a parlare di democrazia, un po' sul modello dell’Europa dell’est, con la caduta del muro di Berlino. Il parto è tormentato e laborioso. Richiede cambiamento di mentalità e di comportamenti. Il partito unico lascia spazio ad altri partiti. La società civile prende il largo e si esprime con vigore. Nel 1991, la “Conferenza nazionale sovrana” è convocata per definire la nuova repubblica del Paese.

Mons. Monsengwo, vescovo di Kisangani e uomo di grande senso di dialogo e imparzialità, è eletto presidente della grande assemblea. C’è entusiasmo e partecipazione. Ma il passaggio dalla dittatura a una vera repubblica democratica non va in porto. A Kinshasa, il 16 febbraio 1992, i cristiani, a partire dalle loro rispettive chiese, manifestano per l'inattesa chiusura della Conferenza nazionale. Il presidente Mobutu reagisce con i militari e con centinaia di uccisioni.

La chiesa locale, intanto, prende coscienza del suo ruolo e della sua influenza. I preti diocesani a Bukavu aumentano; gli agenti pastorali assumono responsabilità a tutti i livelli; noi missionari viviamo la missione come esigenza di collaborare in modo complementare alle altre forze attive. Ci rinnoviamo; ci sentiamo a servizio della chiesa locale; ci sforziamo di essere “democratici”, senza pretese di dominio culturale, economico o ecclesiale.

Troviamo urgenti alcune priorità: far conoscere l’insegnamento sociale della chiesa; formare laici impegnati; favorire la partecipazione e la responsabilità; denunciare le forze di oppressione e i nuovi “centri di potere”. Nelle nostre parrocchie (ad esempio, la missione di Cimpunda) organizziamo conferenze sui diritti del cittadino, sulla sicurezza, sul lavoro, sui compiti del sindacato. Spingiamo verso la crescita umana e spirituale, la partecipazione e la responsabilità.

Il presidente Mobutu ha instaurato la legge dell’arrangiarsi. Gli statali, i militari, gli insegnanti…, non sono pagati; perciò si rifanno sui più deboli. Si crea una mentalità di disonestà, di egoismo, di insensibilità e di impunità. È considerato “stupido” chi non approfitta del ruolo sociale e dei beni pubblici.

È necessario ripartire da una base sicura, esistente: riappropriasi del vero passato e assicurare la continuità alla tradizione. Non si può ignorare lo specifico africano; non si può rinnegare se stessi. È necessario rendersi conto dell’alienazione, misurarsi con la verità, capovolgere il mortificante processo di corruzione, ritrovare se stessi, aprirsi al futuro.



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