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di: I Missionari Saveriani in RD Congo.

Il noto proverbio africano - "quando gli elefanti si battono, è l'erba che ne soffre" - dice bene la situazione nella regione del nord Kivu. Da quando i ribelli del generale decaduto Nkunda si sono rimessi in competizione con il governo centrale di Kinshasa, la gente è di nuovo sulle strade. Si stimano gli sfollati a 1.600.000. La situazione umanitaria è molto grave e lo sarà ancora di più tra due mesi, quando i fagioli che avrebbero dovuto essere seminati in questa stagione saranno assenti all'appello. Intanto, sul fronte sociale si combatte un altro tipo di guerra.

Di nuovo una dura prova

2008 11 Kivu3Fuori dai campi profughi la gente combatte con i prezzi dei generi alimentari. Letteralmente raddoppiati nei giorni di guerra, sono ora scesi un po', ma in media tutto è aumentato del 50 per cento. La causa principale sono le grandi agenzie umanitarie internazionali che, per venire in aiuto agli sfollati, cercano grandi quantità di cibo da comprare.

Molti sfollati cercano rifugio nelle casupole che affollano la città di Goma, al punto che le famiglie si trovano con gli effettivi raddoppiati. Se una famiglia ha in media dieci membri, non è difficile in questi giorni trovarla con venti persone. Il dovere dell'accoglienza, il senso di solidarietà e dell'aiuto reciproco, sono messi a dura prova in una situazione simile. Ma è chiaro che la testimonianza è grande!

L'incertezza del domani si fa sempre più minacciosa.

Da una parte e dall'altra ci si sta preparando alla guerra; i militari si stanno riposizionando e la gente non si fa illusioni. Sa già che ci sarà ancora un prezzo alto da pagare. Ha vissuto la stessa tragedia negli anni passati: nel 1996, nel 1998, nel 2000, nel 2004, nel 2006.

Bisogna chiedersi "perché?"

Ma quali sono le cause profonde di questa crisi che non sembra mai finire? La comunità internazionale è ancora attenta a quanto succede nel Kivu? Oppure la tragedia è un fatto già consumato, l'ennesima sciagura di un "terzo mondo" che non conosce tregua?

L'arcivescovo di Bukavu, mons François Xavier Maroy Rusengo, in un messaggio indirizzato al primo ministro congolese in visita nel nord e sud Kivu, con coraggio, dà alcune chiavi di lettura sulla crisi attuale.

"Perché - si chiede il vescovo - questa nuova ripresa di ostilità? Nonostante i cinque milioni di congolesi morti, nonostante la presenza della Monuc (missione Onu per il Congo) che costa 1 miliardo di dollari l'anno (e questo dura da 6 anni), nonostante i 500 milioni di dollari per le spese elettorali, perché continua il calvario del popolo congolese?".

Ci sono cause esterne

La causa principale è identificata nelle ricchezza del sottosuolo del paese: oro, diamanti, coltan. Per la brama di queste ricchezze, "popolazioni intere sono decimate da bande armate congolesi, chiaramente sostenute da eserciti stranieri le cui ramificazioni internazionali sono più estese di quello che si possa immaginare".

La Corte internazionale dell'Aja aveva già incolpato i paesi vicini di questo saccheggio, mostrandone anche i canali di transito, ma non si sono tirate tutte le conclusioni per mettere fine a questa ingiustizia. Questo saccheggio sistematico delle bande armate crea uno spazio di illegalità, in cui ognuna trova le risorse per finanziarsi e continuare ad agire.

Ma c'è anche un'altra idea che mantiene e quasi giustifica il conflitto nella regione a livello strategico: "prevenire un altro genocidio" dopo quello del Ruanda, compiuto da ruandesi su ruandesi. Ciò è certamente da evitare a tutti i costi, ma è insensato che i congolesi ne paghino il prezzo più alto, anche dopo ben 5 milioni di congolesi periti. "È il Congo - si chiede l'arcivescovo - che deve pagare la cattiva coscienza della comunità internazionale che non ha saputo fermare il genocidio?".

Ci sono anche cause interne

Una grande parte di responsabilità in questa crisi è anche di origine congolese. Un fossato sempre più grande si sta scavando tra le aspirazioni delle popolazioni e le manovre di alcuni politici, anche se eletti dal popolo. L'augurio è che lo Stato assuma le sue responsabilità istituzionali nell'assicurare l'integrità territoriale, la pace e la sicurezza, il buon governo. Ma questo non potrà accadere finché regna la corruzione nella gerarchia militare e nei servizi pubblici.

Del resto, neppure il governo regionale sembra preoccuparsi molto della situazione della gente. Non si dice nulla sul problema degli insegnanti, del personale sanitario o su altre gravi questioni sociali. Si ha invece l'impressione che si occupino molto più della propria sistemazione e dei propri interessi personali.

La popolazione è sempre ostaggio

In questo intrigo di cause internazionali e nazionali, la popolazione è sempre presa in ostaggio, obbligata a fuggire, a nascondersi, a correre, se vuole salvare la vita. Ciò che stupisce e sbalordisce è la pazienza di cui fa sfoggio questa gente. Sofferenze, privazioni e carestia non tolgono loro il sorriso dal volto. E continuano ad avere speranza, anche se ormai siamo all'ultimo stadio. "Mungu tu! - Solo Dio resta!", continuano a ripetere. Solo a Lui ci si affida!

Il domani appartiene a Lui solo, come a Lui appartiene la vita di ogni essere vivente.

È questa la molla che permette a questa gente di non cadere nella disperazione: la convinzione che malgrado la malattia, la fatica, la morte violenta, Dio è lì, pronto a prendere la vita degli sciagurati tra le sue braccia.                                                                                 

Restiamo per raccogliere la speranza

Una giornalista belga scrive: "La popolazione del Kivu, cacciata dalle sue terre, è in pericolo di morte: sarà sacrificata, da chi e perché? Chi non dice una parola, consente; chi non fa niente è complice. Un giorno, la comunità internazionale dovrà giustificarsi". (Le Soir, 10.10.2008)

Il missionario che fa con la gente questa esperienza, che è allo stesso tempo di sofferenza e di fede profonda, si trova coinvolto in un movimento di conversione e capisce che, al di là di tutto, quel che conta è restare sul posto per raccogliere la testimonianza di questa speranza: speranza in Dio, speranza nella vita, speranza di una vita migliore.

Il suo restare diventa allora incoraggiamento per chi in Dio ha messo tutte le sue speranze. Restare in questa situazione difficile, condividendo con la gente le insicurezze e i disagi, le paure e le ingiustizie che uomini potenti fanno ricadere su tutto un popolo, dimostra la comunione di vita e di destino. Questa presenza diventa allora annuncio del vangelo di Cristo fatto con la vita; diventa Parola che si fa carne, diventa Verbo che si fa Dio-con-noi.

Già lo diceva il beato Guido Conforti: "Il missionario è sempre pronto a dare la sua vita per il bene di tutti, a immolarsi per l'espansione del regno di Dio".

Il Natale porti la pace e la giustizia, soprattutto per i più poveri. La pace vinca sulla guerra. La vita vinca sulla morte. La buona volontà prevalga sulla malizia.

Ognuno possa tornare nella sua casa e ai suoi campi. E sarà "gloria a Dio" anche nell'alto dei cieli!



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