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“Non sono ancora arrivato”, Sacerdote da 25 anni

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Fin da bambino ho sempre odiato portarmi addosso qualsiasi oggetto che mi impedisse di sentirmi libero di muovermi. Insomma, niente cravatte, calze, camicie, collari, orologi, anelli e catenine. Pantaloncini corti e maglietta, magari anche piedi scalzi, era il mio abbigliamento ideale per esser pronto a corse, arrampicate su alberi e giochi nelle pozzanghere.

Un piccolo anello nero

2005 11 CodenottiOggi, alla vigilia dei miei 50 anni e di 25 anni come sacerdote missionario, mi ritrovo a guardare quel piccolo, fragile anello che da un po’ di tempo porto senza imbarazzo e senza sentirlo ingombrante. Sorridendo, penso a quella frase di Gesù: “il mio giogo è dolce e il mio carico leggero”. Cos’è avvenuto? È avvenuto che Qualcuno si è preso la mia piccola libertà, senza che me ne accorgessi, e mi ha reso libero di “andare lontano”, legandomi a Dio e a tanti popoli.

Questo scuro anello di legno di cocco, leggero e fragile, è il simbolo di tale legame. È un patto, “un matrimonio” con tanti fratelli e sorelle che considerano la libertà un dono e una conquista. Giorno per giorno, la costruiscono insieme nella speranza e nella fatica, consapevoli di avere il Signore sempre al loro fianco. Questo anello mi fa ricordare i 25 anni passati come sacerdote e missionario. Mi riporta al giorno in cui ho capito che, per sentirmi pieno in quel sogno di libertà, dovevo legarmi a Qualcuno; e che quel Qualcuno avrebbe reso piena la mia vita

Il sogno nel cassetto

Durante gli anni passati come missionario in Giappone, ho avuto la conferma che una vita “affidata” a Dio diventa per gli altri un segno di libertà e di gioia. La gente che incontravo e che, a sua volta, incontrava Gesù, acquistava una nuova vita. Ora ringrazio per tutti i doni ricevuti; ma soprattutto guardo il cammino che mi resta da fare. Sono tante le mancanze e le inadeguatezze che mi fanno pensare di non essere ancora “arrivato”. D’altra parte, è anche tanta la gioia per il cammino che mi è stato regalato.

Oggi, rinnovo il desiderio di rimettere nelle mani del Signore quel poco che sono. Sono convinto che lui sa cosa fare della mia libertà. Il mio desiderio mi porta subito alla terra che amo: il Giappone.

Per me la missione non è stata terra di conquista, ma una famiglia che il Signore mi ha donato per farla crescere nel cammino del vangelo.

Tutto ciò che sono e che porto ha un’origine sicura: quell’aria respirata fin da ragazzo in famiglia, in parrocchia e tra gli amici. Continuiamo tutti insieme sostenendoci con la preghiera.



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