Non esiste vita più bella!
Padre Ezio Marangoni (nella foto: 2ndo da destra, in basso)è la new entry nella comunità saveriana di Tavernerio. Porta con sé 50 anni di sacerdozio, una vita in missione e il suo… modo di stare al mondo. Lo abbiamo intervistato.
Com’è nata la tua vocazione?
All’origine di questa avventura c’è un giovane prete di nome don Arcangelo. È entrato nella mia vita come un’apparizione: non c’è stato nessun incontro, nessun colloquio di carattere vocazionale, nessun percorso, non ci siamo detti nulla. È bastata la sua persona e come si comportava con la gente. Ho scelto di essere missionario perché non ho trovato nulla di più bello di Gesù Cristo!
Grazie, Maestro! Vita migliore non ci poteva essere… E mi sono anche maledettamente divertito in questi 50 anni: 25 in Africa, 25 in vari lidi d’Italia!
La missione in Africa…
L’Africa è stata la mia destinazione dal settembre del 1967. Vi entrai dalla porta del Burundi, dove “missione” significava andare di villaggio in villaggio, affidare generosamente tutta la vita alle persone, liberarle dall’anonimato e dare a tutti l’occasione di esprimersi, di organizzarsi. Dal Burundi sono passato in Congo. Per anni ho formato i catechisti di villaggio in una diocesi grande come mezza Lombardia. Lavoravo con il vescovo, le suore, i volontari; verso la gente mi sentivo in debito di riconoscenza perché mi permettevano di realizzare una vita piena, in una chiesa giovane dove tutto è patrimonio collettivo.
…e poi di nuovo in Italia
Sì, ma aprendo una corsia preferenziale per i giovani universitari a Salerno. All’inizio, l’idea di tornare, mi tolse il sonno. Poi mi misi in pace. Si trattava di tornare ad ascoltare i bisogni, avere l’intenzione di affrontarli, sempre pronto a dare fiducia alle persone.
Sei sacerdote da 50 anni
Sono trascorsi in fretta. E quando il parroco e la gente del mio paese di origine, nel Veronese, mi hanno invitato a celebrare la festa del 50° della mia ordinazione sacerdotale, ho provato riconoscenza e gioia. Vangelo, terre e persone, tempi e ritmi, prove e speranze, tutto si impasta con il bisogno di dire a nostro Signore: “Non finisci di sorprenderci”! E tra i partecipanti alla Messa c’erano perfino gli allora “giovani di Parma”, che avevo cercato di educare a una fede missionaria. Una grande sorpresa! E ho ricevuto anche un’altra grande sorpresa…
Di che si tratta?
Era dentro a una busta sigillata, una lettera firmata da “I ragazzi del Sud”. Vuoi leggerla?
Sì, vorrei proprio leggerla. Anzi, leggiamola insieme.
Campania, Calabria, Puglia, Basilicata…! Sono le diverse provenienze di tutti noi, meglio conosciuti come “ragazzi della cappella”. Gli anni della formazione universitaria ci hanno fatto confluire tutti a Salerno e, proprio lì, nella cappella, le nostre strade si sono incrociate.
Eravamo tutti alla ricerca di una maggiore autenticità nella fede all’interno di noi stessi; poi, scoprendo gradualmente di essere amati da Dio, ciascuno nel proprio colore interiore, abbiamo imparato ad accoglierci gli uni gli altri e, anche con i nostri limiti e con qualche incomprensione, abbiamo costruito un percorso di crescita umana e cristiana.
Tutto ciò è stato un dono ricevuto dal cielo, grazie innanzitutto a p. Ezio, “il cappellano” che senza dubbio ha proposto delle piste, ma che ha saputo trarre il meglio da noi stessi e ci ha invitati a collaborare responsabilmente per portare avanti il percorso.
La nostra gratitudine si allarga anche alla famiglia saveriana che ci ha spesso ospitati e, attraverso il carisma della missione, ha aperto gli orizzonti delle nostre conoscenze e del nostro cuore, ci ha trasmesso la passione per la pluralità e per la diversità delle culture…
Oggi, a distanza di qualche anno, ci troviamo a vivere sparsi per l’Italia (non più solo al Sud), ma ancora uniti dal ricordo dell’esperienza assaporata. Basta un collegamento in rete o una telefonata, per scorgere di nuovo il colorato filo della memoria…”. (i Ragazzi del Sud)