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Nel tempo e nello spazio, Primo anno in Bangladesh

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Padre Gargano, meglio conosciuto dagli amici come "padre Giuà", scrive dal Bangladesh, dove ne ha già viste... di tutti i colori, compreso l'uragano Sidr, che ha devastato vaste zone della povera nazione, dal sudovest al nordest. Per tutti i missionari il primo anno è un anno di "rodaggio": imparano la lingua e la cultura del posto, si ambientano al clima e al ritmo di vita, si inseriscono nella realtà umana che li ospita. Da quanto scrive, si deve dire che "padre Giuà" ha fatto un "buon rodaggio". Ormai è pronto a mettersi in strada e correre... con saggezza!

Cari amici sparsi nel mondo, al termine del mio primo anno di vita in Bangladesh, ho sentito l'esigenza di condividere con voi qualche pensiero sulla mia esperienza missionaria.

Il tempo e i nuovi ritmi di vita

Nel tempo del Bangladesh, non è come trovarsi nel nostro mondo italiano o di qualche altro Paese occidentale. Essere nel tempo del Bangladesh significa avere la capacità di saper stare al passo della gente; anzi, tentare insieme di creare quel cammino che nel tempo sia percorribile da tutti, e non sia frutto di una sola testa o di un solo pensiero.

Vivere nel tempo del Bangladesh è accettare di sedersi a bere, lungo la strada, un buon tè in compagnia, accomodarsi nella veranda di una casa, oppure sul gran lettone di legno, e mangiare il "muri" - il riso soffiato, o il "cianaciur" - un miscuglio di arachidi e lenticchie, sorseggiando una tazza di cappuccino al tè e latte.

Prendersi del tempo in Bangladesh significa fermarsi ad ascoltare le storie, i racconti, i fatti di vita reale, i problemi della gente. Lasciar passare del tempo è il modo giusto per far sì che le cose si aggiustino un po', magari nell'attesa che la verità prenda il suo percorso, evitando decisioni troppo affrettate, come siamo soliti fare noi nel nostro mondo.

Le sfide, le attese, i sogni

Sfidare il tempo è la corsa pazza degli autobus che strombettano come matti, oppure la corsa affannosa dei ciclisti del risciò, che tentano di guadagnare qualcosa da vivere prima che diventi buio, e regalare, a fine giornata, un po' di gioia alla moglie e ai bambini. Ballare il tempo sono le belle danze durante le feste di accoglienza o le cerimonie; sono i fiori donati e gettati ai piedi; il rito dell'incenso durante le celebrazioni eucaristiche e la preghiera della sera.

Sognare il tempo è ascoltare i desideri e i sogni che i giovani portano nel cuore: la speranza di concludere la scuola, di poter avere un lavoro, e chissà, partire per qualche altra nazione. Nello stesso tempo, sognare è l'attesa delle prossime elezioni a dicembre, che speriamo non si perdano nel tempo, ma che portino nel tempo di oggi un orizzonte di pace e di giustizia.

Vivere alle strette

Ecco che il tempo, diventa spazio, diventa relazione, diventa incontro, diventa... vita! La gente del Bangladesh non ha bisogno di molto spazio; si accontenta di poco.

Entrare nel loro spazio! Mi meraviglio sempre. Mi chiedo come facciano a vivere... in quel misero spazio. Eppure tutto avviene nella pura normalità e serenità. In questo piccolo spazio i bambini nascono, crescono, vivono, studiano, si ammalano e, ahimé, muoiono. Giocare nello spazio, anche se piccolo, si può. Loro giocano a cricket, a pallone, costruiscono aquiloni e corrono contenti di vederli volare nel cielo infinito.

Ma succede anche di dover elemosinare uno spazio, dove posare il capo, dove poter costruire con quattro pali una misera casetta per la propria famiglia.

È in questo spazio e in questo tempo che ho vissuto il mio primo anno di missione. E sarà in questo tempo e spazio che vivrò per i prossimi anni, nell'impegno di far spazio a quel Cristo che ancora desidera essere annunciato e testimoniato in questo tempo, dove i dubbi sono tanti. Ma la certezza in qualcosa di nuovo è ancora più forte.



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