Missione in quattro tappe, Su e giù tra Camerun e Ciad
Padre Carlo Girola è il superiore generale dei saveriani in Camerun e Ciad. A luglio, è stato a Tavernerio per il Capitolo generale della congregazione. Ne abbiamo approfittato per farci raccontare un po’ della sua vita missionaria.
Sono nato a Oltrona San Mamette (CO) cinquantanove anni fa, da genitori con una profonda fede cristiana, i cui valori mi furono radicalmente trasmessi. Ho un fratello e una sorella più piccoli ai quali sono sempre stato affezionato. Cresciuto all’oratorio della parrocchia, ho frequentato a Como la scuola Leonardo da Vinci conseguendo il diploma di "disegnatore meccanico particolarista". Avevo quasi diciassette anni
Dall’ufficio tecnico ai saveriani
Il professore che mi fece l’esame mi chiese di lavorare nella ditta presso la quale egli era direttore tecnico. Mi trovai per nove anni, in pieno clima "sessantotto", in un ufficio con l’incarico di progettare motori elettrici. Quel luogo di lavoro, che ho fatto fatica a lasciare, è stato per me una palestra della mia personale crescita sociale A 24 anni, nell’età in cui un giovane si chiede come dare senso alla propria vita, cominciai un cammino di ricerca, che mi ha fatto conoscere i saveriani, prima di Tavernerio e poi di Desio. Nacque in me il desiderio di essere al servizio dell’annuncio del vangelo in terra di missione, che mi ha condotto alla professione religiosa. Il cammino di preparazione si concluse a Parma con l’ordinazione sacerdotale nel 1982. Due anni dopo, scendevo dall’aereo a Douala (Camerun) per sperimentare e affrontare la vita missionaria che da quel tempo non si è mai interrotta
La prima missione
Nel 1984 fui destinato al Ciad, Paese scosso dalla guerriglia. Raggiunsi dal Camerun via terra Gounou Gaya, la mia prima missione. I primi tempi non furono facili: l’ambiente era semidesertico, le comunicazioni non erano rapide (la posta arrivava dopo due mesi dalla spedizione), c’era una persa alimentazione ma, soprattutto, lo studio della lingua musey, la conoscenza di nuovi stili di vita di tante persone, il metodo pastorale di evangelizzazione che non avevo studiato sui libri, mi diedero del filo da torcere. Trovai aiuto nei tre confratelli che avevano alcuni anni di esperienza africana
Quella bella fatica
Poi tutto cominciò a prendere forma e a pentare vita quotidiana. Mi impegnavo con i giovani di Gounou Gaya e con pidevo con gli altri tre confratelli la riflessione, la programmazione e la catechesi: 120 villaggi, in quaranta chilometri, con giorni di vita solitaria in luoghi lontani. Questo inizio mi diede gli strumenti per capire il lavoro missionario, facendomi crescere in sapienza e grazia per il resto della mia presenza in Africa Dopo quattro anni a Gounou Gaya, attraversai il fiume Logone e passai a Bongor Sieké, uno dei centri dell’etnia masa: una nuova lingua da imparare, altre persone e altri... villaggi. Trascorsi lì nove anni pieni di bella fatica e di tante iniziative che ricordo con particolare emozione
Con i giovani di Duoala
L’aspetto più complicato da vivere per noi consacrati è, senza, dubbio, quello dell’obbedienza. Infatti, il mio superiore nel 1997 mi chiese di lasciare il Ciad e di impegnarmi nella grande metropoli di Douala, in Camerun. Il mio compito era di seguire l’animazione vocazionale dei giovani che mostravano interesse per la vita consacrata e missionaria. Fu la stagione dei tanti chilometri percorsi in moto, degli incontri nelle parrocchie, nei collegi e in alcune scuole statali. Il timore di non sentirmi all’altezza è stato spazzato via proprio dai giovani che mi lasciarono entrare nel loro mondo e nelle loro problematiche Oggi, alcuni di loro stanno per pentare sacerdoti, altri sono miei confratelli, altre sono religiose nella congregazioni femminili, altri ancora sono mariti e mogli felici