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Missionari o prigionieri? - P. Corvini scrive dal Camerun

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Saluti dalla prigionia. Questa mattina è venuto un gruppo di donne a darmi il benvenuto e quindi mi sento ufficialmente inserito tra questa gente. Prima hanno danzato e cantato intorno a casa, come segno di benvenuto, mi hanno offerto una sporta di granoturco, un cesto di tuberi e una gallinella. Ma il loro volto, pieno di gioia e simpatia, mi ha commosso.

Mi trovo tra gli Esimbi; una tribù a Nord-Est del Cameroun, ai confini con la Nigeria, isolata e arroccata tra i monti e in mezzo alla foresta, considerata primitiva e per tanti motivi anche pericolosa. Ma brava gente. Ora si sta aprendo e sarebbe una bella occasione poterla aiutare a scoprire il cristianesimo prima che arrivino i musulmani.

E' ancora vivo il primo battezzato della tribù. Si considera un Abramo e benedice tutti i cristiani che gli fanno visita. Quando è stato il mio turno mi ha messo le mani sulla testa e mi ha augurato di poter superare i cent'anni come li ha superati lui. Per la sua nascita dovrebbe essere avvenuta negli anni trenta.

Nella sua capannetta gli anni gli dovranno sembrare molto lunghi!

Siamo in due padri ma c'è il lavoro per dieci. Il nostro ostacolo sono le comunicazioni. Vi avrà fatto meraviglia la parola "prigionia", ma è la pura verità. Non abbiamo telefoni, né radio per comunicare, non abbiamo le poste e non arrivano corrieri. Il nostro punto d'appoggio più prossimo è a cento chilometri.

Per ora possiamo contare sull'elicottero dei protestanti, ma per disposizione dei loro superiori, per noi cattolici è a disposizione solo per casi urgenti e per motivi umanitari. Ma l'elicottero è a cento chilometri ed è difficile contattarlo quando ne abbiamo bisogno. Gli Esimbi sono esperti nel comunicare con i tamburi, il cui suono può arrivare fino a 80 chilometri, dicono. Ma non è il nostro caso, perchè il tamburo è convenzionato per emettere segnali tra casati come incendi o morti. La strada è una pista da campi, diventa completamente impraticabile come in questo periodo delle piogge.

La gente povera e le piccole capanne di terra sperdute tra alta vegetazione danno ancor più il senso di abbandono e di primitivo.

Qui la gente lotta quotidianamente contro la foresta e il macete è l'attrezzo indispensabile per tenere aperti i sentieri. Se questa gente dovesse abbandonare le capanne per venti giorni farebbe poi fatica a ritrovarle. Qui la natura è potenza. Mi fanno tenerezza i bambini: sono sporchi e felici, non hanno nemmeno idea di cosa sia una caramella. I ragazzi riciclano gli stracci degli adulti; ai bambini invece, non tocca niente da riciclare.

Mi sto adattando alla cucina locale, una cucina molto povera. Non hanno pane e non usano nessun derivato del grano come pasta, minestra. Non mangiano riso e quasi niente legumi e tantomeno le verdure. Mangiano i tuberi (e non sono le nostre patate). La loro alimentazione è quasi esclusivamente sottoterra. Però hanno anche il granoturco. Sono ritornato alla polenta e con la polenta ci si sente ben piazzati.

Per ora ho fatto solo un safari di tre giorni. In questo periodo piove troppo e troppo spesso. Abbiamo in zona una ventina di villaggi Esimbi: quando la stagione sarà più benevola si vedrà cosa dobbiamo fare. Non è il caso di parlare di sacrifici.

Soffro però nel non riuscire a comunicare facilmente perchè la lingua locale, il Pidgin, non la posseggo ancora. Il tempo per incontrare gente è molto ridotto; di giorno la gente si disperde tra i boschi e di notte il buio completo e le capanne non sono adatte per accogliere i visitatori perchè sono molto piccole.

Penso di poter dire che anche gli Esimbi meritino una preghiera e... anche noi che stiamo con loro.

  • di p.Filiberto Corvini, sx.


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