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Martirio in Sierra Leone: “Piangi terra amata”

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"C'era una volta la Sierra Leone, il Paese più bello, più ricco, più libero del mondo. Poi la bellezza e la ricchezza divennero una maledizione. Mani interessate all'oro e ai diamanti corruppero i governi e altre mani altrettanto interessate armarono un gruppo di feroci ribelli".

Così recita il commento al documentario Bambini soldato in Sierra Leone. Nella savana è sufficiente la carogna di una lepre per attirare stormi di avvoltoi. La Sierra Leone era la "bella signora" del West Africa. La sola nazione che era uscita dal colonialismo con lustro e tanta simpatia. La nazione che poteva ancora considerare l'Inghilterra come "madre patria" con il privilegio del passaporto.

Dal colonialismo ne era uscita a testa alta, anzi con una coccarda al petto per aspirare alla candidatura di diventare una Svizzera africana. Il cristianesimo aveva contribuito grandemente a trasformare la gente con i suoi valori umani e sociali. Aveva conosciuto la schiavitù, la crudeltà dei negrieri e il colonialismo; sembrava finalmente che potesse guardare al futuro con fiducia e speranza e continuare a cantare con entusiasmo e orgoglio il suo inno nazionale:

"Ti esaltiamo sommamente,
regno dei liberi,
grande è l'amore
che abbiamo per te Siamo sempre pronti,
fermamente uniti,
per cantare le tue lodi,
o terra natale.

Innalziamo i nostri cuori
e le nostre voci,
le colline e le valli
riecano il nostro grido:
benedizione e pace
siano sempre tuoi,
terra che amiamo,
nostra Sierra Leone.

Le cisterne, dove venivano convogliati, ammassati e stipati gli schiavi in attesa delle navi negriere che li avrebbero trasportati nelle Americhe, si erano aperte ai turisti. Erano diventate mausolei degli orrori e luoghi sacri di riflessione. Al centro di Freetown, a poche centinaia di metri dal porto, il Coton Tree, il grande albero del cotone che era servito per legare gli schiavi prima di essere imbarcati sulle navi negriere, era stato abbellito con aiuole e dichiarato monumento nazionale.

Ma la Sierra Leone è nata sotto una cattiva stella. Per chi conosce l'Africa, sa che l'africano è paziente, longanime e padrone del tempo: Dio ha dato l'orologio alla Svizzera e il tempo all'Africa. Nelle acque chiare nemmeno i coccodrilli potrebbero mangiare. Con l'indipendenza spuntarono come funghi "i panciuti" della corruzione; balene tutta bocca e niente denti, gente tutta sorriso e niente riso, invasero il Paese. Se è vero che quando i pesci piangono nessuno si accorge delle loro lacrime è anche vero che sugli escrementi dei ricchi a migliaia si abbruttiscono le mosche.

La tragedia della Sierra Leone cominciò con il vuoto istituzionale causato dal cerchio chiuso dei corrotti amministratori, e proseguì con l’invasione di gente spregiudicata che aveva solo di mira di mettere le mani sulle ricchezze del paese.

Terra di profitti

Agli occhi dei predatori la Sierra Leone appariva come un grande guazzo dove pescare favolosi profitti. Basterebbe gettare una pietra nel mucchio degli amministratori pubblici, o sui magnati e i tycoon della grande finanza per vederli sollevare la testa dal "fiero pasto" con i loro artigli nella preda Sierra Leone.

Mentre scomparivano le ultime magliette con su lo slogan "go to est, go to west Sierra Leone is the best" (vai pure ad est o ad ovest ma la Sierra Leone è la migliore), fece comparsa come uno schiaffo morale la statistica dell'ONU che confermava che la Sierra Leone era rotolata tanto in basso da essere la nazione più povera del mondo.

Fu in quel periodo che nella zona dei diamanti apparvero i primi squadroni dei ribelli. I quali, con le armi in pugno e tanta ferocia, cominciarono ad uccidere, distruggere e creare panico. Il resto è una canzone tragica su un mare di orrori. Mentre i diamanti della Sierra Leone invadevano i mercati europei e sfarfallavano sui petti di ricche signore, il loro valore veniva trasformato in armi e droga per sostenere, imbecillire e foraggiare quei tanti figli di nessuno che si facevano chiamare ribelli.

Invece erano masse di drogati che dovevano scavare diamanti nell'acqua putrida e pericolosa; ma per gli altri, che dovevano uccidere, mutilare, distruggere, far polvere di copertura per i ricchi profitti degli altri.

Per anni questi cavalieri abbruttiti dell'Apocalisse hanno scorrazzato impunemente su gente indifesa e inerme. Gli squadroni della morte (pensate pure alle migliaia dei bambini soldato) stavano imprestando le loro facce e le loro crudeltà a nemici stranieri.

Trattato di pace

Il 7 luglio 1999 è stato firmato un trattato di pace. Ma la pace stenta a prendere forma. In questa fase di ricostruzione i missionari Saveriani sono in prima linea con le loro attività umanitarie, soprattutto stanno cercando di recuperare le migliaia di bambini soldato. È un lavoro difficile.

Le menti di questi ragazzi sono ormai assuefatte alla violenza e mal tollerano la giacca stretta della normalità. Coloro che finiscono nei Centri di rieducazione, non essendo più foraggiati dalle droghe e senza armi in mano, si sentono come pulcini indifesi e guazzano negli acquitrini della paura. Già si rendono conto che i riti fatti su di loro per renderli invulnerabili alle pallottole non erano che pretesti per mandar li in prima fila come scudi umani.

Presto o tardi, chi avrà la fortuna di ritornare a casa o a una vita normale, ricordando i loro tanti compagni caduti nella "mattanza" concluderà con rabbia che al macello prima della pecora va l'agnello. E c'è da augurarsi che il pensiero non generi ancora odio!

Dietro l'angolo della vita di questi giorni ci sarà anche un altro probabile spettro che li tormenterà: l'Aids. È parte del copione della guerra: "militari donne e guai", ma in questo caso la promiscuità era voluta come un elemento di forza e una bravura di gruppo promossa dai loro "capi e fratelli" e la disperazione sarà ancora tanta.



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