Le varie stagioni della vita, “Non potrò dimenticare niente”
Padre Piergiorgio Lanaro ha lasciato Gallico all’inizio di agosto ed è partito per il Congo. Ha salutato tutti, scrivendo le sue impressioni sugli anni trascorsi a Reggio Calabria.
Corrono veloci le estati in Calabria, come le correnti dello Stretto. È già la quinta, da quel mattino del mio primo arrivo, l’anno del Giubileo. Mi aveva accolto il centro “Popoli fratelli”, l’edificio noto a tanti immigrati, che arrivavano dopo lunghi viaggi sulle carrette del mare o dentro il cassone di qualche autocarro.
L’arrivo dei Kurdi
Ricordo, il giorno dopo il mio arrivo, il pullman della polizia che è venuto a scaricare qui un gruppo di quaranta kurdi, fuggiti agli orrori di Sadam Hussein. Avevamo atteso quel pullman dal primo pomeriggio, seduti sul muretto della chiesa. Ma sono arrivati qui solo a notte fonda. Li rivedo ancora quegli omoni baffuti, dal profilo intagliato nella roccia, e quelle matrone maestose avvolte nel chador.
Rivedo soprattutto i due bimbi: il piccolo Kalidh, dalle gambine rattrappite e gli occhi ardenti, scampato alla traversata, durante la quale la mamma aveva trovato la forza di partorirlo, prima di chiudere gli occhi per sempre. Bisognava nutrirlo, perché nessuna delle donne sbarcate voleva allattarlo. Ho iniziato io quella notte stessa, quando le signore della Caritas parrocchiale se ne erano andate, dopo aver sistemato gli ospiti.
Una notte di poppate
Il mio turno per la prima poppata notturna iniziava alle 23. Dopo aver sollevato il piccolo dalla sua culla, tentavo d’imboccarlo. Rivivo ancora oggi la dolce sensazione che provavo nel reggere fra le mani quel fragile corpicino. Accostavo il biberon a quelle labbra che rimanevano ostinatamente chiuse nel sonno, come fossero un riparo per il piccolo naufrago. Il silenzio notturno scivolava attorno a noi e io cercavo di destarlo, di convincere quella boccuccia ad aprirsi, come faceva mamma con il più piccolo dei miei fratellini. Che gioia riporre il flacone finalmente vuoto sulla mensola, riportare il bimbo alla “base” e buttarmi a letto, nella speranza che gli angeli della mezzanotte mi donassero subito la prima parte di sonno!
Alle 2,45 iniziavo le manovre per preparare il biberon delle ore 3, pensando già al terzo appuntamento delle 7. Poi, con il sole, arrivavano le mamme e le ragazze di Concessa a sbrigare le faccende. Ogni giorno portavano nuovi giocattoli per Kalidh che si buttava a terra dalla sua sedia a rotelle per afferrare i preziosi oggetti, attesi nei sogni di tutta una notte.
Una realtà con tante facce
È stato un giorno triste quello dell’addio, quando l’autobus della polizia è tornato per trasportare i profughi al campo di Isola Rizzuto. Sono rimasto a proseguire le attività quotidiane in quella casa ormai diventata mia. Rivedo la prima gita sull’Aspromonte, con i suoi boschi e la dolcezza dei pianori, dove ho vissuto momenti meravigliosi.
I ricordi si rincorrono. Il primo ha il volto delle comunità cristiane con le quali ho condiviso questi anni: Concessa e Villa San Giuseppe. Qui ho potuto osservare le differenti stagioni della vita. Poi ci sono state le visite alle case, per offrire agli anziani la comunione, la benedizione pasquale e anche l’unzione degli infermi. In ogni caso, il contatto con le persone rivela il volto sempre mutevole della realtà umana.
Ripenso alle meraviglie che il Signore mi ha concesso di ammirare in questi anni. L’ingresso nel mondo dello scoutismo ne è un esempio. Si trovano persone capaci di donarsi gratuitamente, adulti pronti a dare con gioia il loro tempo ai fratelli minori.
Così, capisco che posso rinunciare a tante cose inutili, purtroppo divenute necessarie in seguito al bombardamento dei mass media, e che posso scegliere tempi e luoghi per costruire esperienze indimenticabili: i campi estivi, le liturgie all’ombra delle foreste, le veglie notturne...