La persecuzione: Il coraggio della fede
Due decreti di espulsione dei missionari emessi da Hideyoshi (1587 e 1597), il grande martirio di Nagasaki (5 febbraio 1597), la proibizione ai principi locali (daimyô) di aderire alla fede cristiana (1600): sono i duri preavvisi di quanto sarebbe accaduto, i sintomi della persecuzione.
Dopo la battaglia di Sekigahara del 1600, ottenuta la vittoria sugli oppositori, lo shôgun Ieyasu fa uccidere o punisce severamente alcuni principi cattolici suoi avversari. Tuttavia preferisce non perseguitare i cristiani. Non voleva spargimenti di sangue, che gli avrebbero procurato nemici all'interno e l'ostilità di Portogallo e Spagna.
Ma alcuni principi delle province meridionali del Giappone, insediati da Ieyasu al posto di quelli cristiani deposti, per accattivarsi la sua stima non esitano a colpire i credenti inermi.
Nonostante queste gravi difficoltà, la cristianità continua a crescere, vivendo in pace.
1614: inizia la dura persecuzione
Dal 1613 la situazione cambia radicalmente. Lo shôgun si rende conto di poter fare a meno del commercio con Portogallo e Spagna. Possiede già una sua flotta e più intenso diventa il commercio con Gran Bretagna e Olanda. Ha due consiglieri protestanti, un inglese e un olandese, che osteggiano i cattolici portoghesi e spagnoli.
La scoperta di un complotto guidato dal daimyô cristiano Arima Harunobu, lo inasprisce ulteriormente e lo spinge a procedere nei suoi piani. Il 27 febbraio 1614 estende a tutto il paese la "proibizione della fede cristiana e l'ordinanza di esilio per tutti i sacerdoti e missionari". La persecuzione infierisce in tutto il paese, colpendo le comunità cristiane. Inizia la distruzione sistematica dei luoghi di culto e dei simboli cristiani. Una vera bufera che mira a colpire al cuore le floride comunità di credenti.
1616: le esecuzioni in massa
Dopo la morte di suo padre Ieyasu, lo shôgun Hidetaka intensifica ulteriormente la persecuzione e pone nuove restrizioni per impedire il ritorno dei missionari espulsi e l'arrivo di nuovi. Ordina esecuzioni in massa: 52 a Kyoto; 55 a Nagasaki; 40 a Edo; 109 a Yonezawa; 38 a Hirado, cui fa assistere numerosi daimyô, per indicare loro la sua precisa volontà e intimorirli.
Ma vedendo che ogni martirio rafforzava i cristiani, lo shôgun cambia tattica: meno martiri e più apostati. Oltre alla croce e alla decapitazione, egli trasforma in luogo di tortura e martirio il mare, i fiumi, le solfatare, il rogo. Moltiplica e rende sempre più sofisticati e crudeli i sistemi di tortura per estorcere l'abiura. Agli apostati impone l'obbligo di diventare predicatori contro il cristianesimo.
Fa organizzare il popolo in gruppetti di cinque persone, con l'obbligo di controllarsi e spiarsi a vicenda. Rende obbligatoria l'iscrizione di tutti i giapponesi a un tempio buddhista e la "verifica della fede" ogni anno, con l'atto pubblico del "fumie". Promette ricompense a chi denuncia un missionario clandestino, un catechista, un religioso o un apostata tornato alla fede.
Affida infine al suo subalterno, l'astuto e feroce inquisitore Inoue Masashige, la direzione delle attività persecutorie e in particolare la conduzione della "prigione dei cristiani", un luogo di segregazione e sofferenza, dove vengono raccolti e torturati fino al martirio o all'apostasia sopratutto i missionari e religiosi che avevano continuato a peregrinare latitanti da una comunità all'altra, o che avevano osato entrare clandestini in Giappone per confortare e assistere i fedeli. L'attività di questo inquisitore continua fino al 1650. Dai suoi scritti risulta che aveva trovato e catturato cristiani in 68 province, sulle 76 di tutto il Giappone.
Il bel giorno dell'abbraccio
Nei piani dello shôgun il nome e la memoria di Cristo dovevano essere cancellati. E a luglio del 1639, con il martirio a Tokyo del gesuita giapponese Pietro Kibe, l'ultimo sacerdote latitante rimasto, l'impresa sembrava sicuramente conclusa.
Ma la storia ci ha riservato una stupenda sorpresa. Come Lazzaro, ormai morto da quattro giorni, era uscito vivo dalla tomba, così molti cristiani erano rimasti vivi e fedeli sotto la persecuzione, nascosti nelle tenebre delle catacombe. Un giorno luminoso li ha accolti di nuovo nella storia e nella chiesa: il 17 marzo del 1865. La bella chiesa gotica di Ôura, costruita dal missionario francese padre Bernard Petitjean su una collina di Nagasaki, li ha abbracciati maternamente come figli tornati alla vita.