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La parola ai saveriani anziani

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La comunità dei saveriani realizza, a Vicenza, attività di animazione missionaria anche con la testimonianza di saveriani - già apostolini in questa casa più di 85 anni fa - che hanno donato la loro vita alla missione.


P. Giuseppe Rabito (nella foto sopra) ha compiuto 98 anni il 14 gennaio, 57 ne ha trascorsi in Sierra Leone. Vive a Vicenza da cinque anni.

Ti senti seguito e assistito?

Non ho di che lamentarmi. Siamo “in famiglia”. Alcuni confratelli si mostrano un po’ indifferenti, ma non importa.

Desideri qualche attenzione maggiore?

Niente. Desidero solo servire il Signore, e basta. Magari rivedere la mia missione, se pur di passaggio, e anche morire lì.

Come vivi questa tua età e la malattia?

Cerco di vivere come dovrebbe fare ogni religioso: abbandonato nel Signore. Se io lo faccio, il Signore lo sa. Prima di tutto, la volontà di Dio, pur esprimendo personalmente le mie cose al Signore: la sua volontà! Gli espongo la mia, se poi lui è contento…!

Pensi ancora alla missione?

Passo la giornata pregando e leggendo molto. Di notte sono in Africa, in Sierra Leone. Anche stanotte ho sognato i bambini sierraleonesi. Di giorno sono a Vicenza…

Nei documenti saveriani si legge che l’anziano e il malato è “protagonista della missione”…

Dovrebbe essere così. Pregando, offrendo. Ma che gli altri lo considerino così, ne dubito.


  • P. Marino Rigon, 92 anni il 5 febbraio, di cui 61 in Bangladesh, è a Vicenza da tre anni.

Ti senti seguito e assistito?

Sì. Molto bene. In particolare, da due carissimi confratelli…

Come vivi questa tua età?

Sono contento e tranquillo, di fronte a Dio e agli uomini. Mi sostengono la volontà di Dio e due amori:

Cristo e la Madonna.

Pensi ancora alla missione?

Sì e penso di partire, di tornare in Bangladesh, nella missione di Shelabunia, per seguire la gente - cristiani e non cristiani - con la scuola, con gli aiuti attraverso la San Vincenzo, la Caritas... Adesso qui aiuto più con la preghiera che con altro.


  • P. Vittorino Dalla Valle ha compiuto 92 anni il 24 ottobre 2016, ed è stato missionario in Bangladesh.

Da quanto sei a Vicenza?

Dal 1971. Il morbo di Parkinson si fa sentire sempre di più.

Sei assistito?

Non c’è male.

Desideri qualche attenzione maggiore?

Forse un po’ più di aiuto negli spostamenti; ma lo fanno, affinché non mi adagi. E se mi adagio è finita.

Come vivi la malattia?

L’unica cosa importante è la fede, e basta.

Come passi la tua giornata?

Non guardo la TV. Ci vedo poco e sento poco. L’unica cosa è stare con la gente, parlare un po’. Penso molto alla missione, la ricordo e do qualche aiuto, se posso…

Il malato è protagonista della missione?

Se questo stato è offerto a Dio, sì, questo sacrificio diventa una preghiera vivente.


  • P. Giacomo Peruzzo, di Malo (VI), ha compiuto 95 anni il 4 febbraio. È stato missionario in Indonesia.

Sono andato nella sua stanza. È un emporio con tutto: batterie che ricarica, batterie usate da cui ricava ancora la lucetta per la statua di san Giuseppe e p. Uccelli, innumerevoli album di fotografie e diari, plichi di prediche fatte, spunti di omelie e catechismo da fare, bicchieri difettosi (trasformati in originali mini-presepi), dozzine di crocifissi su fusti (di edera) pazientemente sbucciati… E tante altre cose.

Mi siedo sulla poltrona, in parte occupata da un orsacchiotto (made in Cina), da una tartaruga (made in Korea) e da una Minnie (forse made in casa) e comincio le domande.

Da quanto tempo sei qui a Vicenza?

Dal 1999. Per la salute, mi pare di star bene, almeno per sommi capi. Dopo vedremo. Finché si riesce a tirare avanti con i propri piedi, va bene. Faccio anche delle puntate nella parrocchia di Priabona per assistere le suore malate e dire la Messa per loro.

Ti senti assistito?

Quel che possono fare lo fanno. In casa seguo la vita comune.

Desideri qualche attenzione maggiore?

Partecipo all’Eucarestia e, quando tocca il mio turno, presiedo. Attendo anche alle confessioni, specialmente a Caldogno… Tutto questo è già una forza!

Mi mostra la fotocopia di una pagina di giornale: c’è la foto del primo presepio fatto con p. Carlesso a Milano. E prosegue…

Abbiamo cominciato noi, nel 1948, su richiesta di p. Zanon. Ci diedero 80 lire di offerte. Poi arrivò p. De Zen che preparò i testi a commento dei presepi missionari…

Come vivi questa tua età?

All’età e alla malattia io non penso! Per ora non ci sono particolari ostacoli… Mi aiuta la tranquillità.

Come passi la tua giornata?

Riposo, creo crocifissi (che poi regalo), faccio i vari mestieri, vivo in comunità e basta. I mezzi di comunicazione sono limitati ai piedi…

Pensi ancora alla missione?

Sì, ma solo il pensiero e basta. Sono morti parecchi confratelli in questi ultimi tempi. Anche p. Corda… Siamo partiti assieme e in una sosta della nave, a Aden, eravamo scesi a terra; il vento gli portò via il cappello, che cadde in mare. I bambini si tuffarono e glielo riportarono: “Cento lire, cento lire!”; ma lui non aveva niente in tasca e diede loro il cappello.

Una scuola per invecchiare

Sfoglia un quadernone con i suoi diari e legge la lettera circolare n. 17, con il suo arrivo in Indonesia (luglio 1959) e il suo primo battesimo… Poi, prende in mano uno dei tanti album di famiglia, con le foto di genitori, nonni, fratelli e sorelle, con la corona usata da sua mamma, con i ricami che lei faceva, e poi il suo vecchio parroco, la casa natale diroccata e la casa nuova, costruita da suo nipote architetto, con la chiesetta accanto fatta da lui...

P. Giacomo è una bella presenza serena e fa anche dell’umorismo sui suoi vari acciacchi.

Vivere con i nostri fratelli anziani e malati è una scuola che insegna a invecchiare, ad ammalarsi, e anche a morire fidandosi del Padre, Figlio e Spirito Santo. E così sia.



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