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La missione si impara un poco alla volta

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Quando i missionari sono giovani

Noi missionari viviamo on la valigia in mano. In effetti i cambiamenti di luoghi di missione provocano sofferenza. Ma è una sofferenza feconda, che insegna in che cosa consista veramente la missione. Quando sono ancora giovani anche i missionari agiscono come una forza della natura. La giovinezza è il tempo degli ardori anche per loro.

Nel momento poi in cui i Superiori dicono loro: "Parti, la missione ti aspetta", si sentono come coloro che hanno il mondo in mano e si getterebbero nel fuoco per compiere un gesto di bontà. L'entusiasmo e la frenesia rischiano tuttavia di distogliere la loro attenzione dalla Grazia e dal bene che diffondono attorno a loro e anche dalle grazie e dal bene che ricevono dalla gente che incontrano, ascoltano e si impegnano ad aiutare.

La scoperta dei segreti della missione arriva poco alla volta. Soprattutto la scoperta che la missione nasce quando si comincia a provare simpatia verso la gente a cui siamo inviati. La simpatia abbatte i muri, fa incontrare le persone. Porta a conoscere le persone al di là delle impressioni che lasciano all'esterno.

Porta direttamente alla fede che li spinge dentro e alla sensibilità che nutrono nei riguardi dei più bisognosi. La simpatia finisce per intessere vincoli spirituali più durevoli di quelli della stessa parentela naturale. Nel cuore della gente incontrata si accende la nostalgia di Dio, albergano una gioia e una speranza nuova, che li sospingeranno a fare cose che nemmeno i Principi e i capi di questo mondo hanno mai saputo fare.

La missione svela i suoi segreti

Mi è capitata la ventura di scoprire di persona che la missione nasce dalla simpatia: ero in Bangladesh. Appena arrivato, due musulmani si erano premurati di accompagnarmi a visitare il palco sul quale era salito il Papa per incontrare poche migliaia di cristiani di un Paese tra i più poveri del mondo, sovrappopolato di musulmani.

Ero curioso di vedere con quale originalità architettonica era stato realizzato quel palco. La povertà della costruzione mi sorprese: il palco si riduceva ad un semplice sopralzo di terra rossa su cui erano stati posti un altare di mattoni e fiori bianchi di loto, simbolo dell'unità nazionale. Quei pochi cristiani non erano riusciti a fare di meglio per solennizzare un avvenimento senza precedenti, una festa di cui si continuerà a far memoria per gran tempo, ora era diventato un monumento nazionale. Mi incuriosì anche la fila di donne che sbriciolavano qualche grumo di terra rossa da quel terrapieno, per conservare il ricordo.

"Lo sai - si affrettò a spiegarmi uno dei miei accompagnatori - appena il Papa è sceso dall'aereo, si è inginocchiato e ha baciato la terra del nostro Paese.

Nessun altro Capo di Stato aveva mai fatto un gesto così pieno di simpatia verso il nostro popolo. Il Papa ha baciato la terra del nostro Bengala Dorato. Solo il Papa e Madre Teresa si sono inginocchiati a baciare il nostro suolo". Quel gesto di simpatia di Giovanni Paolo, così semplice, aveva scatenato una presa di coscienza positiva e duratura. Chissà con quanto entusiasmo si sono messi a raccontare del Papa e di Gesù a chi abita lontano e non era presente a quel fatidico incontro.

I legami della simpatia

Ho vissuto gli ultimi due anni a Piacenza con i padri Giuseppe e Giovanni. E proprio qui a Piacenza, ho fatto la scoperta definitiva che la Missione inizia sempre con una atto di simpatia. Quante volte abbiamo aperto il portone di Santa Chiara per accogliere persone generose e persone bisognose.

Abbiamo imparato ad ascoltare storie meravigliose di gente, a condividere sentimenti di una fede semplice, profonda. Uomini e donne che sanno impastare gli avvenimenti lieti e tristi della loro esistenza con l'impegno per la missione. Quanti ricordi commoventi.

E poi l'appuntamento mensile con il giornale "Missionari Saveriani". Fatti edificanti, problemi, drammi che dalla missione rimbalzano davanti al Crocifisso miracoloso di Santa Chiara. Quello che però ci ha edificato maggiormente è stata la simpatia che uomini e donne del piacentino, del Basso pavese e del vicino Piemonte, nutrono verso Saveriani che hanno abitato anche per un breve periodo di tempo sullo Stradone Farnese. Gente che domanda notizie di padri, che ricordano soltanto nome e cognome e con l'espressione del volto manifestano il legame spirituale instaurato con questo o quel padre.

Oggi quei missionari sono dispersi ai quattro venti, in Bangladesh, in Burundi, in Congo, in Camerun, in Brasile. Ma il legame di simpatia è tuttora saldo. L'ultima conferma che la missione nasce attraverso lo scambio della simpatia me l'ha fornita recentemente p. Giuseppe, quando mi ha quantificato in termini economici la solidarietà di tanti amici, inviata o consegnata ai Saveriani di Piacenza perché venisse distribuita in tutto il mondo in base alle indicazioni degli offerenti.

Duecentocinquanta milioni di lire! Sono molti. A tutta questa generosità si aggiunge il ringraziamento che i Saveriani di

Brescia hanno recentemente inviato al vescovo di Piacenza, perché durante le Giornate Missionarie celebrate in Diocesi i parroci e i cristiani di tante parrocchie hanno offerto altri 89 milioni di lire da spendere in missione. "Guarda un po' - mi sono detto - se in un campo verificabile come quello economico, la simpatia ha dato tanto frutto, quale sarà mai il bene che la missione fa nei cuori di tutti, grazie alla simpatia della gente che vive lungo il Po?".

Ecco come p. Giovanni e il sottoscritto ci ritroviamo chinare il capo davanti al Signore che nasconde nell'animo di tanta gente i segreti della salvezza del mondo. Ora che siamo chiamati a riprendere il cammino della missione, Piacenza e la gente missionaria che la abita siamo certi che resteranno nel cuore. Padre Giuseppe invece rimarrà a Piacenza, da solo, a tenere accesa una presenza missionaria, che nasce dalla simpatia alimentata da tanti atti di simpatia della gente che vive la missionarietà.



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