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La missione in Thailandia… attraverso l’arte

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Antonella Del Grosso, missionaria di Maria-saveriana di Foggia, oggi impegnata in Italia (nella comunità di Cava de’ Tirreni), racconta i suoi anni di missione in Thailandia.

Si legge nella Lettera agli Ebrei (10,5): “Un corpo mi hai preparato…”. È la novità dell’annuncio cristiano. Dio ci ama attraverso un corpo d’uomo, quello di Cristo. Con il dono gratuito di sé stesso in un corpo, Dio si fa terribilmente vicino, ma Dio si fa anche straniero, distante dai nostri schemi, per farsi accogliere da noi in modo nuovo, scardinando i confini stretti.

È da qui che voglio partire per introdurre la missione delle Missionarie di Maria-Saveriane in Thailandia, dal dono di sé, dalla gratuità, e dalla risposta spesso inconsapevole di chi è lontano.

Thailandia significa “Terra dei liberi (Thai-libero Land-terra), liberi soprattutto dal colonialismo occidentale che non ha mai prevalso. L’altro nome che la contraddistingue è Terra del sorriso, che esprime la gentilezza nei loro modi, a partire dal volto. Una terra che oggi sembrerebbe non avere tanto bisogno di noi missionari, soprattutto per quanto riguarda le opere.

Certo, la Thailandia deve molto alle strutture cattoliche (scuole, ospedali, centri educativi e riabilitativi), ma attualmente ha creato e gestisce, con il proprio stile e in autonomia, molte di queste strutture anche in luoghi più rurali. Qui i cristiani sono solo lo 0,6%, con altre minoranze religiose come l’islamismo, insieme a quelle tradizionali dei vari gruppi etnici. La religione principale è il buddismo, che integra riti e culti più popolari.

Il governo thailandese è una monarchia costituzionale, quasi sempre filo-militare. L’ultimo presidente è salito al potere con un colpo di stato nel 2014 e confermato con elezioni nazionali solo nel 2019. Attualmente, la Thailandia è una delle potenze economiche più importanti tra i paesi del Sud Est asiatico, grazie in particolare al settore turistico e manifatturiero.

Il velocissimo processo di industrializzazione da una parte ha permesso lo sviluppo, dall’altro ha creato disagi sociali con lo spostamento di molta popolazione dalle campagne e montagne del nord alle periferie di Bangkok, dove sono sorte tantissime baraccopoli.

Noi saveriane siamo presenti in Thailandia dal 2000, seguite poi dai nostri fratelli saveriani alcuni anni più tardi. La Chiesa chiede la collaborazione dei missionari soprattutto in queste baraccopoli, alle periferie della capitale e nei luoghi rurali del nord.

È qui che noi svolgiamo le nostre attività con i ragazzi, visitiamo i malati, sosteniamo le piccole e sparse comunità cattoliche. Ed è qui che ho conosciuto il volto del Dio straniero, a partire da me. Noi occidentali in Thailandia veniamo chiamati farang, da francesi, visto che sono stati insieme ai portoghesi i primi stranieri in queste terre.

La prima cosa che impari è il linguaggio del corpo, a sorridere gentilmente anche agli sconosciuti, a toglierti i sandali entrando a piedi nudi nelle loro semplici case, fossero anche le più povere come quelle di lamiera nelle baraccopoli; un segno che rimanda proprio a quel senso di profondo rispetto per un luogo che è “separato” dalle nostre abitudini e che, nello stesso tempo, ci accoglie.

E poi impari a salutare piegando la nuca, a chinare il capo, a misurare la sua altezza sugli altri per non mancare di riguardo ai più anziani o ai ruoli. Impari a unire le mani vuote sul petto, quelle mani che vorrebbero sempre avere o fare o trovare soluzioni per gli altri.

Invece, non ti resta che ascoltare quella voce sul cuore: “Non importa quello che fai, ma l’intensità del dono di te stessa, con i tuoi limiti”. Importa esserci con loro, facendo chilometri di macchina per andare nei villaggi (una delle spese più grosse sono quelle della benzina). 

Ho visto come un popolo che non conosce il cristianesimo, stia cercando e mettendo in opera i valori del Regno (pace, solidarietà, compassione, ecc.…), attraverso l’azione dello Spirito.

Tale missione implicita già preparata nei loro cuori, ci stimola nel nostro annuncio, ci sfida a scoprire e mettere in luce la traccia della bellezza e della bontà di Dio che ci precede. In questo, mi ha aiutato l’arte, per esprimere il bello che scorgevo in loro e che rivelava quei riflessi del suo Volto.

Il corpo di Dio donato a chi non Lo conosce, attraverso il nostro corpo, ha un fine pur nella gratuità: la comunione vissuta nell’amicizia, nello scambio, nella collaborazione e nel dialogo fraterno.



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