La missione chiama: La gioia del suo abbraccio
Quel giorno si manifestò una novità assoluta: Dio è l’eterno donarsi. I discepoli erano riuniti e concordi nella preghiera, con alcune donne e con Maria, madre di Gesù. Era il giorno di Pentecoste. Vento gagliardo, lingue di fuoco, parole che vanno oltre tutti i confini tra lo stupore della folla: è il segno potente e umile di una nuova irruzione di vita che viene dall’Alto. Nello Spirito Santo, effuso sui discepoli dal Crocifisso Risorto, Dio continua la sua opera.
Questa storia continua oggi e ci appare ancora più luminosa. Dio non è una sostanza astratta. Egli esiste come dono dello Spirito. È amore.
"Egli non è solitudine: nello Spirito Santo, Dio Padre genera il Figlio... e verrà il giorno in cui anche l’uomo sarà invaso dall’amore infinito", scrive il teologo Durrwell. Allora vedrà Dio nella sua verità e troverà gioia eterna di amare il proprio Dio e Padre, nella comunione della grande famiglia dei figli di Dio.
Tutti sono chiamati, a partire dai più piccoli ed emarginati, da coloro che hanno fame e sete di giustizia. È un annuncio che ha sempre messo in movimento i discepoli di Gesù. Mi sembra di vederne un segno in quelle processioni offertoriali di tante comunità in cui le mamme, danzando e cantando, portano all’altare i loro risparmi e i frutti del raccolto. Una processione che continua, silenziosa, nelle corsie degli ospedali, nelle prigioni, nelle abitazioni dei più poveri della città o del villaggio.
È la caritas delle comunità.
"Il Dio dei cristiani è povero, perché è dono d'amore. Non è come il radicchio isolato nel campo. Egli è ricco di quella povertà che va alla ricerca degli altri e li mette in relazione", ci diceva don Niccolini di Bologna. Dio Trinità, dono e comunione, incarnato nelle comunità, è la verità che può affrontare le sfide di oggi. Una verità attesa e concreta, per me e per tanta gente chiamata a superare ogni forma di egoismo e di isolamento, a ritrovare relazioni di amicizia e di onestà, come risposta alle attese del nostro piccolo villaggio terra.
Nel suo ultimo film "Centochiodi", Olmi inchioda i libri perché non servono, se sono solo scienza. Il valore dell’uomo non dipende dalla cultura di cui si nutre, ma dalla capacità di amare e di conpidere con gli altri. Mi sembra una risposta alla notte collettiva che molti avvertono nel cammino dell’umanità.
Quante situazioni di buio nei vari continenti, tra i popoli in cui sono presenti fratelli e sorelle partiti come migranti del vangelo.
Penso all’Africa, al prossimo sinodo africano. I problemi sono tanti e gravi. La chiesa vuole essere presente come luce che rischiara, come forza efficace di guarigione e di risanamento. Ma penso anche all’Europa. Tanti esperti hanno preso coscienza della sua notte interiore che, in superficie, penta consumismo. La convivenza penta sempre più un urto pericoloso di inpidui chiusi e paurosamente deboli. Una civiltà che sembra senza Dio. Una cultura che sta pesando sulle altre e fa paura. Eppure, "le crisi dell’uomo europeo sono anche le crisi dell’uomo cristiano" - così scriveva Giovanni Paolo II.
Forse Dio, nel nostro vuoto, crea lo spazio per farci dono di una sua presenza tra noi, aperta alla sua stessa vita di relazione e di dono. È certamente un invito a una nuova conversione, a un’itineranza evangelica umile e gioiosa dell’annuncio vivo di Dio, che è dono di sé. Un’itineranza in tutti i continenti, come un’inondazione dell’amore, che canta il primato di Dio su noi e sulle cose e chiama tutti alla conpisione. Vogliamo riconoscere i germi che lo Spirito continua a seminare sulle strade degli uomini.