La grandezza della vocazione saveriana
Nel primo e nell’ultimo capitolo delle Lettera Testamento (LT), trovo la parola “grande”. “Ognuno di noi sia intimamente persuaso che la vocazione alla quale siamo stati chiamati non potrebbe essere più nobile e grande” (LT 1); e “… la grandezza della causa che ci stringe in una sola famiglia” (LT11).
Mi colpisce l’invito continuo a riscoprire la grandezza della nostra vocazione. È un invito chiaro per me a vivere pienamente anche questo momento della vita in cui mi avvicino al traguardo. Altrimenti si vivacchia e si invecchia tristemente. E il motivo che Conforti ci dice, riguardo alla grandezza della nostra vocazione, è che “ci avvicina a Cristo e agli apostoli”. Mi sembra che sia qui la “nuova” fondazione della vita consacrata, come presentata da alcuni testi della Chiesa e da alcuni convegni cui ho partecipato. E allora tutte le indicazioni contenute nel resto della Lettera riacquistano vita perché viene riscoperto l’amore fondante. Allora ciascuno di noi potrà dire con Conforti: “Il Signore non poteva essere più buono con noi” (LT 1).
Soprattutto credo che, per riscoprire questa grandezza, vada approfondita l’unione intima e profonda della consacrazione e della missione, come concepita da Conforti: “La vita apostolica congiunta alla professione dei voti religiosi, costituisce per sé quanto di più perfetto secondo il Vangelo si possa concepire” (LT 2). È questa unione che, a mio parere, costituisce l’intuizione originaria di Conforti, la chiave di volta di tutta la LT e la sfida continua della vocazione saveriana.
La missione richiede la consacrazione e ne costituisce un di più, come la consacrazione richiede la missione e ne costituisce un di più. Entrambe si aiutano a vicenda perché possiamo vivere sotto il segno della totalità. La missione odierna, in cui non siamo più né eroi né maestri, ma servi, domanda questa totalità.