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La bella lezione dei poveri

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P. Antxon Serrano Insausti, saveriano spagnolo, è missionario in Ciad, nazione che, nella scala mondiale dello sviluppo umano, occupa il 184° posto su 187 paesi. Egli ci ha detto: “Il fuoco della missione si è acceso in me quando ho appreso che il Ciad occupa il nono posto nella classifica mondiale dei paesi che accolgono i rifugiati”.

Sospinto dalla missione, p. Antxon ha accettato di dirigere una radio, molto seguita da musulmani e cattolici, per educare la popolazione delle numerose tribù ad accogliere profughi e rifugiati.

Gli abitanti del Ciad sono 13 milioni; la durata media della vita è di 51 anni, la metà della popolazione non ha acceso all’acqua potabile e vive con una media di 3 euro al giorno. Ma, pur essendo gravata da enormi problemi di sopravvivenza e corruzione, la gente dà lezioni d’umanità all’Occidente.

In mezzo ai pericoli…

La popolazione è a maggioranza musulmana. Ma, insieme alle comunità cristiane, stanno avviando una politica di accoglienza dei profughi, alternativa a quella occidentale. La fede e i buoni sentimenti dell’animo permettono al Ciad di condividere le proprie risorse con 645.000 rifugiati.

Eppure i pericoli non mancano. A nord, c’è la Libia e la battaglia per le risorse e il traffico delle armi; a sud, la Repubblica Centrafricana dove cristiani e musulmani si fanno guerra a vicenda; a ovest il terrorismo di Boko Haram; a est, poco distante dalle frontiere, il conflitto che mette a ferro e fuoco il Sudan. Il senso umanitario spinge il Ciad a mettere a disposizione dei rifugiati diverse aree del proprio territorio, facendosi carico delle persone di origine ciadiana che sono emigrate nei paesi vicini.

L’iniziativa del marabù a Sido

A Sido, nel sud del Ciad, a un chilometro dalla frontiera con la Repubblica Centrafricana, quattromila famiglie ciadiane hanno accolto più di 18.000 rifugiati. A Mandoul, la popolazione dice: “Non possiamo abbandonarli quando anche noi abbiamo sperimentato che cosa sia la guerra”.

Il marabù Faki Ahmat Yaya, 60 anni, leader religioso di Sido con tre mogli e 22 figli, ha aperto le porte di casa ai rifugiati. “Quando sono arrivati i primi, feci cucire delle tende in plastica e le posizionai sotto gli alberi. I primi giorni uccisi una mucca e comprai 500 chilogrammi di mais per sfamarli. Poi, li autorizzai a coltivare parte delle mie terre”. Oggi, il marabù dice: “Le risorse sono esaurite e noi continuiamo a ospitare in casa 45 persone, tra donne e bambini; le hanno lasciate lì i loro uomini quando sono tornati in Repubblica Centrafricana in ricerca di lavoro”.

Una di quelle donne, Yaya, ha detto: “Quando ti senti accolta, provi grande gioia e gratitudine”. E un musulmano del Ciad le ha fatto eco: “Nell’islam, accogliere gente in casa è un onore”.

Non è tutto rose e fiori…

La generosità ciadiana stupisce ancora di più se confrontata con la pressione che la presenza di questi rifugiati fa pesare sulla popolazione. Ma le pressioni non arrivano dalla popolazione e nemmeno dalle Ong che distribuiscono cibo.

La verità è che il moltiplicarsi del numero delle bocche da sfamare fa aumentare la pressione.

La necessità di cibo ha fatto levitare i prezzi. Inoltre, la fuga in massa dei rifugiati dai ribelli del Boko Aram ha obbligato a sospendere il tradizionale commercio del bestiame.

Adjide Moussa è una donna che vive con angoscia questa situazione. Ha a suo carico cinque figli più un ragazzo, che lei ha accolto in casa sua dopo lo scoppio di una bomba. Ora Adije riceve mensilmente un aiuto di 10 euro per riso, olio e zucchero, che non bastano più. Infine, tra i profughi qualcuno si è abituato a ricevere aiuti e cibo “gratis”, senza lavorare. E le Ongs provano a rompere questa dipendenza psicologica. La responsabilità invita l’accoglienza a fare un passo in avanti, con urgenza.



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