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L’incontro con il saveriano p. Nicola Colasuonno, ci ha dato l’opportunità di ascoltare e vivere, in presa diretta, i problemi del Congo RD e le sue criticità. Tutto questo è stato possibile grazie all’impegno di Giacomo Manna che, con l’associazione Africadegna, ha sostenuto molte iniziative di p. Nicola.

È stato con noi in Sardegna dal 20 al 22 aprile. Il primo incontro è stato alle Cantine Argiolas di Serdiana, dove ha raccontato i suoi 25 anni in Congo RD, nazione ricca e senza pace. E ha presentato i vari progetti realizzati. Al circolo “Dolia” di Dolianova, ha ricordato che il Congo può ancora vedere la luce, grazie ai progetti di solidarietà, finanziati da tante persone. Infine, all’I.I.S. “Marconi-Lussu” di San Gavino Monreale con le quarte e le quinte del Liceo di Scienze Umane, ci ha aiutato a riflettere che il vivere a Panzi, a Bukavu, può aiutare a vincere sul linguaggio delle armi, delle violenze sulle donne e dell’utilizzo dei bambini nelle miniere di coltan. Ci ha emozionato e fatto capire che anche noi non possiamo dimenticare quello che tanti paesi del mondo (di cui noi facciamo parte), stanno vivendo (a cura di Gennaro Pinna).

P. Gabriele Spiga ci ha scritto dal Bangladesh, raccontandoci un po’ della sua vita.

Dopo aver passato 10 anni in un villaggio cristiano, mi sono spostato in un villaggio musulmano. La gente era meravigliata dal vedermi vivere come loro, in una capanna come loro. Sono stato colpito subito dai tanti malati di poliomielite. Non potevano camminare e allora ho cominciato a insegnar loro a fare dei piccoli lavori di falegnameria e meccanica: costruire le stampelle, carrozzine… Altri li ho incoraggiati a imparare un semplice mestiere (aggiustare biciclette o aprire un negozietto in bambù per vendere qualcosa). Diversi sono poi riusciti a sposarsi, avere figli e mi ringraziano ancora.

Poi, dalla polio sono passato ai raccoglitori di noci di cocco che spesso rischiavano di perdere l’equilibrio nella raccolta, con conseguenti varie fratture provocate dalla caduta. Ho cercato di accoglierne qualcuno per curarlo, visto che nessuno faceva niente per loro. Ho trasformato anche la mia vecchia auto in ambulanza, con cui portavo i malati per farli operare da un medico molto disponibile verso di loro (anche se bisognava dargli qualcosa, secondo la legge bengalese). Ora, con un nuovo progetto, continuerò ad occuparmi degli ammalati, perché meglio farli passare dalla porta di un ospedale, che da quella di un cimitero… Cerco così di dare una testimonianza di fraternità cristiana, evangelica e fortemente missionaria.



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