Il vangelo richiede giustizia, Intervista a p. Savio Corinaldesi
Padre Savio Corinaldesi è nato a Jesi, in provincia di Ancona, 69 anni fa. Da ragazzo era entrato nel seminario di Jesi e poi nel seminario regionale di Fano, per diventare sacerdote diocesano. Ma poi non ha resistito all’ideale missionario e, all’età di 24 anni, è diventato saveriano. È missionario in Brasile dal 1968, svolgendo varie attività, sempre in prima linea. Attualmente è segretario nazionale dell’Infanzia missionaria in Brasile, un movimento che incoraggia bambini e adolescenti a impegnarsi nella diffusione del vangelo.
Com’è la vita di missione?
Ho avuto la grazia di vivere in Amazzonia, in mezzo a gente marcata da situazioni di estrema precarietà. La povertà che diventa miseria, violenza, sfruttamento disumano, corruzione politica e amministrativa... Così aumentano in modo vertiginoso gli emarginati. Sono “il popolo dei senza”: i senza terra, i senza casa, i senza lavoro, i senza assistenza medica, i senza voce... i senza nulla. In Brasile la fede non è contrastata dall’incredulità, ma dall’ingiustizia.
Vuoi spiegarti meglio?
Il popolo brasiliano è estremamente religioso. Dio, la Madonna, i santi, i fenomeni religiosi... appaiono dovunque, nella bocca della gente e nei nomi delle botteghe, delle strade, delle imbarcazioni, dei complessi musicali, nelle canzoni di moda, nelle magliette... La problematica religiosa è presente nelle telenovelas, nelle pagine dei giornali e delle riviste, nei discorsi dei politici. Non si contano i luoghi di culto e i gruppi religiosi di ispirazione cristiana o spiritistica, africana o orientale. È difficile trovare brasiliani che non credono in Dio. Il problema è sapere a quale Dio si crede. Questa situazione complessa e confusa, ci ha portato a dare una grande importanza alla bibbia nella nostra pastorale. La lettura della bibbia, fatta soprattutto nelle comunità ecclesiali di base, ha prodotto frutti preziosi. La bibbia illumina la fede e le dà concretezza.
E l'ingiustizia, invece?
Il Brasile è un paese ricchissimo. Attualmente è considerato la decima potenza mondiale. Ma il popolo brasiliano è vittima di una della più ingiuste distribuzioni dei beni. Le sue risorse sono saccheggiate senza scrupoli dalle multinazionali e depredate da gruppi economici: pochi ma potenti. Siamo un Paese con tecnologia di primo mondo e servizi sociali preistorici. Nei tanti anni che ho passato in Brasile, ho visto enormi progressi tecnici, insieme a uno spaventoso aumento delle masse impoverite. È proprio uno scandalo. Perché tanta ingiustizia avviene in un Paese che è orgoglioso di essere “cristiano” ed è perpetrata da persone che si professano “cristiane”. Per questo la lotta per la giustizia, che è parte integrante di qualsiasi evangelizzazione, in Brasile diviene un obbligo grave e urgente.
In concreto, cosa fate?
La chiesa cattolica gode di un notevole prestigio nella società brasiliana. È un prestigio conquistato con grandi sofferenze e con il sangue dei martiri: laici e laiche, religiosi e religiose, sacerdoti e vescovi. Negli anni della dittatura militare hanno coraggiosamente denunciato la negazione delle libertà civili, la concentrazione del reddito, gli abusi e le torture contro chi non si assoggettava passivamente. In cambio, hanno ricevuto calunnie, prigione, persecuzione e morte. Le organizzazioni popolari hanno trovato nella chiesa un forte appoggio, anche nei momenti più dolorosi. I documenti della conferenza episcopale del Brasile hanno un valore universale per il coraggio e la concretezza del loro messaggio. Non ha senso celebrare un culto nel tempio, se sul sagrato giacciono i "bambini di strada" o i contadini espulsi dalle proprie terre dal latifondo selvaggio. La chiesa dev’essere la "buona samaritana", che soccorre e libera. (continua sotto)