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Il Vangelo anche in Mongolia

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Il Cardinale Crescenzio Sepe ha visitato la nuova missione

Mongolia: un immenso territorio grande cinque volte l’Italia, stretto tra Russia e Cina, con poco più di due milioni e mezzo di abitanti, di cui un terzo vive a Ulan Bator, la capitale più fredda del mondo. Dal 1577, religione ufficiale della Mongolia è il buddismo tibetano; guida spirituale è il Dalai Lama. Qui vive la comunità missionaria più giovane del mondo.

La presenza della chiesa in Mongolia è iniziata dieci anni fa, nel 1992, dopo lo smembramento dell’Unione Sovietica, con l’arrivo dei primi tre missionari. Era stato lo stesso governo mongolo a farne espressamente richiesta al Vaticano.

Le motivazioni di questa strana richiesta erano due: dare la possibilità alla gente di scegliere la propria fede in un clima democratico, dopo le repressioni imposte dalla Cina e dall’Unione Sovietica; la convinzione che la chiesa contribuisce allo sviluppo sociale ed educativo della nazione.

I missionari hanno subito risposto alle aspettative del governo e della gente. Si sono impegnati nell’annuncio del vangelo ed anche in numerosi progetti sociali: centri per disabili ed alcolizzati, assistenza medica, educazione, formazione professionale, piccoli progetti agricoli, assistenza ai bambini di strada e ai carcerati ed altre opere umanitarie. Tutte attività molto apprezzate.

Attualmente, lavorano in Mongolia 20 missionarie e 13 missionari di ben 12 nazionalità - tra cui sud-coreani, filippini, congolesi, un vietnamita e un camerunese - chiaro segno dell’universalità della missione. I cristiani sono già più di cento; varie decine i catecumeni; molti i simpatizzanti. Dall’inizio, la missione è guidata dal Prefetto apostolico padre Venceslao Padilla, filippino missionario di Scheut.

Il cardinale Crescenzio Sepe, responsabile di tutta l’attività missionaria nel mondo, lo scorso luglio ha fatto una visita pastorale di 4 giorni a questa giovanissima chiesa. Ha ordinato due sacerdoti e un diacono, ha incontrato i missionari e i cristiani mongoli, i rappresentanti religiosi e del Corpo diplomatico, i funzionari di governo. A tutti il cardinale ha offerto un messaggio di speranza e di incoraggiamento.

Ha insistito soprattutto su una vita spirituale concreta e quotidiana:

"Non abbiate paura di lasciare spazio a Dio nelle vostre vite, di permettergli di agire nelle vostre giornate, di fidarvi della sua Parola...; una Parola che ci modella giorno per giorno, facendoci diventare discepoli del Signore Gesù. Così, ogni giorno, siamo trasformati dalla sua potenza in apostoli, cioè in persone inviate. Questo stile di vita deve essere sostenuto da una salda vita spirituale, una vita guidata dallo Spirito di Gesù. Per questo bisogna dedicare abbastanza tempo (ma quanto è abbastanza?) alla preghiera."

Nell’intervista rilasciata dopo il suo rientro a Roma, il cardinale ha affermato con entusiasmo:

"Ho incontrato una chiesa viva, con una forte coscienza missionaria, come la chiesa primitiva. Fino a dieci anni fa, in Mongolia, mai si era sentito parlare di Cristo; nessuno sapeva cosa volesse dire essere chiesa. Oggi, questo annuncio diventa il movente di vita di tante persone. Vi è una schiera di giovani che stanno facendo il cammino catecumenale con un entusiasmo ed una dedizione commoventi. Al momento della Comunione, quando donavo il Corpo del Signore ai battezzati, venivano avanti anche i catecumeni.

Questi non ricevevano la Comunione, ma chiedevano il segno della croce sulla fronte. Vedere gli occhi di questi mongoli che si aprivano, quasi a contemplare il mistero dell’Eucaristia che non potevano ancora ricevere, era per me come assistere ad un prodigio della fede. Con la grazia di Dio, nei prossimi anni avremo il primo sacerdote e la prima suora mongoli.

Quella della Mongolia è una chiesa nascente che già germoglia e dà i primi frutti."



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