Mi presento a tutti voi, Dalla Sicilia all’Amazzonia… a Tavernerio
Era l'ottobre del 1964, quando per la prima volta alla stazione di Caltanissetta prendevo il famoso treno degli emigranti "Agrigento - Milano" con destinazione Bologna e poi Ravenna. Negli anni successivi l'ho ripreso tante volte quel treno per andare e venire dal nord, dove i saveriani avevano le case di formazione (Ravenna, Como, Parma, Ancona).
Fin da quel giorno ho scoperto cosa volesse dire per un siciliano fare un viaggio simile. In treno non c'era posto a sedere e spesso ho dovuto farmi il tragitto seduto sulla valigia, in corridoio... Avevo appena 17 anni, tanti sogni nel cuore e tanti grilli per la testa, secondo mio padre che non ne voleva sapere di lasciarmi "partire per le missioni", come si diceva allora!
Giovani forti di santo coraggio
Ci pensavo in questi primi giorni di permanenza in via Urago 15, dove sono tornato dopo tanti anni. Tavernerio, infatti, è stata la mia seconda tappa di formazione dopo l'anno di noviziato a San Pietro in Vincoli (RA). Negli anni 1966-‘67 vi ho terminato il liceo che avevo iniziato nel seminario di Caltanissetta. Allora la casa non era così bella come adesso, ma eravamo più di centoventi giovanotti "baldi e forti di santo coraggio...": così cantavamo allora, in vista delle avventure missionarie che tanti santi saveriani ci hanno inculcato in quegli anni!
Non so se i trent'anni passati in Amazzonia brasiliana siano stati di "santo coraggio". Senza dubbio sono stati una bella avventura umana, cristiana e missionaria, che voglio raccontarvi brevemente.
"La sveglia" impertinente
Nei primi cinque anni, dal 1975 all'80, il punto forte sono stati i giovani della città di Abaetetuba, sul rio delle Amazzoni. Insieme alle comunità di base, li ho seguiti con dedizione, sognando con loro un Brasile senza dittatura militare.
Avevamo un piccolo giornale chiamato con il nome significativo di "Despertador - La sveglia", che ha dato un po' di fastidio perfino alla polizia locale. Erano gli anni della famosa "coscientizzazione", inventata dal professore Paulo Freire esiliato dal Brasile, che noi cercavamo di mettere in atto.
Coltivare i terreni e i cuori
Dopo cinque anni passati in Italia (1980 - 1985), sono tornato per la seconda volta in Amazzonia. Questa volta il vescovo saveriano mons. Angelo Frosi mi affida la parrocchia di Barcarena, dove ritengo di aver trascorso il periodo più fertile e ricco della mia vita missionaria. Nove anni ben vissuti, in cui forse l'esperienza più significativa è stata quella del centro agricolo integrale e comunitario di Barcarena (CaicB). Abbiamo tentato un incremento più o meno scientifico di coltivazioni permanenti come noci di cocco, arance, caffè, cacao... integrate insieme alle colture stagionali come riso, fagioli, granturco, mandioca...
In quel tempo ci ha aiutato l'organizzazione italiana "Mani Tese", con cui tra l'altro avevo collaborato quando ero studente di teologia a Parma. Naturalmente non ho solo piantato noci di cocco! Nelle 50 comunità della parrocchia e nelle dieci parrocchie della diocesi, di cui avevo il coordinamento pastorale, ho cercato di piantare nel cuore di tanta gente quell'amore di Dio che spinge il missionario ad andare altrove!