Skip to main content

Il racconto degli eventi: la capanna di Mamma Sifa

Condividi su

28 novembre 1964 e trent'anni dopo…

Sarò ancora vivo, domani? No, perché domani è il 28 novembre!

Arriva, sul sagrato della missione a Baraka, la landrover del colonnello Abedi Masanga, ubriaco fradicio, con la scorta di otto uomini armati. Fanno scendere fratel Faccin dall'impalcatura del campanile, lo caricano sul veicolo e quando questi fa un gesto per scendere, Abedi lo fredda con una raffica di mitra. La scarica risuona all'interno della chiesa.

Padre Carrara si precipita fuori con indosso la stola violacea e si china sul fratello, immerso in una pozza di sangue. 
- “Ehi tu, vieni con noi: saliamo a Fizi per far fuori anche gli altri due!”. 
- “Non verrò a Fizi. Avete ucciso mio fratello. Uccidetemi piuttosto accanto a lui”. Seconda raffica di mitra.

La landrover lascia i due corpi accanto alla porta della chiesa e prende la pista per Fizi. La strada è un letto di fango, nella zona paludosa, e un impervio acciottolato di torrente sulla scarpata. Arrivano che è già notte. Nell'Africa equatoriale, alle ore 18,30 scende la sera. Il villaggio è sepolto nel silenzio. Davanti alla casa della missione sta di guardia una sentinella, che si difende dal freddo accanto al fuoco. Minacciandolo, gli intimano di chiamare i padri perché… “c'è un moribondo da assistere”.

Padre Didonè si affaccia alla porta; con la mano alzata regge una lampada a petrolio. È una facile mira. Uno sparo. Cade riverso. Dalla casa, don Atanasio cerca una via di fuga verso l'esterno. Lo colgono mentre attraversa di corsa il piccolo orto. Una raffica di mitra. Il tonfo di un corpo morto.
È il 28 novembre 1964. 

Il ritorno nei luoghi del martirio

Fui incaricato dai superiori di guidare un gruppo di familiari che desideravano visitare i luoghi del martirio, dopo tanti anni. Una piccola carovana di 5 persone: Mario e Leone, fratelli di p. Carrara; Flaviano e Silvana, nipoti di fratel Faccin; il sottoscritto. Due fratelli di p. Didonè rinunciarono all'ultimo minuto. Silvana ha tenuto un bel diario del nostro pellegrinaggio in Congo.

La mattina del 28 novembre 1994, abbiamo celebrato la Messa all'ombra delle palme, presieduta da mons. Gerolamo Gapangwa, vescovo di Uvira. La folla era immensa. Commemorando i nostri martiri, raccontai che, trent'anni prima, a Minago (nel Burundi, sulla riva opposta del lago Tanganika), avevo raccolto la prima testimonianza sull'eccidio dei missionari. A fornirmela erano stati due ragazzi delle scuole medie, Agostino Moshi e Deodato Omari, e due catecumene, le signore Mulashi e Yohadi. Aggiunsi: “se per caso, queste persone si trovassero tra la folla, dopo Messa vorrei tanto incontrarle”.

Presento alla gente Mario e Leone, Flaviano e Silvana. La folla mi ascolta in silenzio. Dico loro che i parenti dei missionari uccisi non sono venuti dall'Italia con l'idea di chiedere giustizia, ma con un messaggio di riconciliazione e di pace . Alla fine, propongo alla folla una frase del vangelo da ripetere e urlare : “Mtu hawezi kuwa na mapendo makubwa zaidi kuliko kutoa uzima wake kwa ajili ya rafiki zake” - Nessuno può avere un amore più grande che dare la propria vita per i propri amici ( cf Giov 15,13 ). Le voci, dapprima incerte, si fanno man mano più forti, più corali, finché esplodono in un applauso senza fine. E con tante lacrime agli occhi.

Finita la Messa, vedo venire verso di me, con un sorriso grande così, due signori e due signore. Erano Agostino e Deodato e le signore Mulashi e Yohadi, della “testimonianza” di trent'anni prima, a Minago, sulla sponda destra del lago Tanganika. Lascio pensare a voi la commozione dell'incontro!

Dopo pranzo, alla capanna

Mi si annuncia una nuova sorpresa: “Dopo pranzo andiamo alla capanna!”. Non riesco a capirne di più. Si forma una gioiosa processione che sfila lungo il viale ombreggiato dei manghi e arriviamo sul cortile di una capanna, costruita con blocchi di terra cementati e coperta di paglia fresca. Davanti all'entrata, una piccola folla fa corona a una vecchietta che ci sta aspettando. “È mamma Sifa!”, sento bisbigliare.

Ci avviciniamo e ci vengono offerti i tipici scanni, disposti a cerchio, per farci sedere. L'anziana donna che fa gli onori di casa avrà 90 anni. È piccola, minuscola come un passerotto. Si chiama  Sifa : in swahili vuol dire Gloria . La gente zittisce, non appena mamma Sifa fa cenno di voler parlare. Riproduco la sua testimonianza come se la avessi stenografata.

Le cose sono andate proprio così…

“Venivano qui da noi, tutte le sere, perché là, da soli, c'era d'aver paura. Bwana Frèra(fratel Vittorio) non aveva ancora finito di costruire la chiesa, ma padre Giovanni vi diceva già la Messa. Ma poi, per dormire, avevano una capanna peggio della nostra. Con quella gentaccia che girava armata giorno e notte, non c'era da fidarsi.

Allora, d'accordo con mio marito e i miei figli, li abbiamo invitati a venire a dormire da noi. Proprio così. Venivano da noi tutte le sere, dopo il lavoro. Si ritiravano di là (uno spazio di tre metri per due, “difeso” da un graticcio di canne) , pregavano, con la lucerna accesa. Poi la spegnevano, dormivano e al mattino presto tornavano a lavorare. Così per più di un mese.

Poi è successa quella brutta cosa. Sono rimasti lì, poverini, tutti e due morti, vicino alla chiesa. Ho detto ai miei figli: non possiamo lasciarli lì così. Andate a dire al colonnelloche li vogliamo seppellire. Il colonnello ha alzato le spalle e ha detto: “fate come vi pare!”. Allora io ho tirato fuori due amerikane (così chiamano in Congo le pezze di stoffa bianca per seppellire i morti) e con altri due uomini li abbiamo messi nella terra. Proprio così”.

Siamo tutti sbalorditi. Il nostro applauso, sotto l'ombra maestosa dei manghi, voleva esprimere la nostra ammirazione per questa mamma africana il cui sorriso ha confortato le ultime ore dei nostri missionari, su questa terra. 



Scarica questa edizione in formato PDF

Dimensione 15723.02 KB

Gentile lettore,
Continueremo a fare tutto per portarvi sempre notizie d'attualità, testimonianze e riflessioni dalle nostre missioni.
Grazie per sostenere il nostro Giornale.


Altri articoli

Edizione di Marzo 2000

Roma - La stanza dei bottoni

I Saveriani sono presenti a Roma in due comunità. Accanto a noi di Via Aurelia, a poco più di un chilometro, vivono altri Saveriani, che formano la...
Edizione di Marzo 2016

Il viaggio del papa in Africa

Dal 25 al 30 novembre 2015 papa Francesco ha compiuto il suo primo viaggio in Africa, visitando Kenya, Uganda e Repubblica Centrafricana (RCA). Il ...
Edizione di Luglio/agosto 2010

Padre Emilio Paloschi: il fratello di tutti

Nato a S. Salvatore di Sospiro (Cremona) nel 1936, a vent'anni Emilio Paloschi era entrato nel seminario di Cremona, ma dopo tre anni decide di div...
Logo saveriani
Sito in costruzione

Portale Unico dei Saveriani in Italia

Stiamo finalizando la nuova versione del portale

Saremmo online questa estate!

Ti aspettiamo...

Versione precedente del sito