Il primo Natale ai tropici…
Sono passati ormai 49 anni da quando ho raggiunto la missione della Sierra Leone nel 1968. Dieci anni prima, dopo le medie, il ginnasio ed il liceo nel seminario di Cremona, avevo fatto la mia prima professione saveriana, l’inizio di un lungo cammino sulle strade del mondo. Di fatto, nel 1962, fresco di ordinazione presbiterale, fui mandato, in nave (l’aereo costava troppo), negli Stati Uniti ad imparare l’inglese e a prendere una laurea, che potesse poi servire in vista della missione.
L’America a quei tempi fu per me un dono prezioso di universalità, a cui la cultura ecclesiale di allora non mi aveva preparato. Tanti mi accolsero con genuina amicizia e mi aprirono anche le porte del mondo protestante, con i suoi limiti, ma anche con le sue grandi ricchezze di preghiera e sapienza biblica.
Non posso dimenticare un piccolo, ma significativo episodio di quegli anni, quando fui invitato, io giovane presbitero, ad assistere al ballo in una parrocchia. Il ballo in Italia allora era peccato o quasi. E quindi come la mettiamo con il buon Dio ed i "suoi" peccati?
Poi, dopo la laurea in storia, una materia che mi è sempre piaciuta, eccomi in Sierra Leone, assistente parroco ed insegnante nella scuola secondaria di Kambia. Un sogno che si avverava finalmente, quello di poter condividere il Cristo della mia fede con la gente... agli estremi confini della terra.
Non è che a Kambia tutto andasse bene. La fatica di capire la lingua, la cultura, la gente a volte si faceva pesante. Ma ero venuto in mezzo a loro con nessun altro scopo che quello di essere un fratello universale in nome e con la grazia di Cristo. Ed allora anche le difficoltà divennero sopportabili, anzi furono un motivo per continuare fedelmente la missione che il Signore mi aveva affidato.
Non ricordo molto del mio primo Natale a Kambia, ma la neve non c’era, il freddo mancava, i pasti erano semplici come sempre... Eppure la nostra piccola comunità cristiana si era ben organizzata per dare il benvenuto al Bimbo di Dio con canti natalizi per le strade del paese, fino a notte inoltrata.
Il giorno dopo, una sorpresa per me, la popolazione a maggioranza musulmana continuò la celebrazione natalizia con tanti dei loro bimbi vestiti a nuovo e il picnic al fiume, nel pomeriggio. Ricordo che mi chiesi, quanto fosse bello far contenti un centinaio di bimbi, con appena un pallone, tre biscotti ed un po’ di musica!
Non mi veniva certo la nostalgia del Natale in patria o negli Stati Uniti, tranne che la gioiosa amicizia di varie famiglie attorno alla tavola.
Ma qui il Natale 2017, se la salute tiene, sarà una notte di tanta simpatia con il Bimbo Gesù. Canteremo le sue canzoni. Porteremo il suo messaggio nell’Eucaristia. Faremo pranzo insieme, condividendo ciò che ognuno ha preparato. I nostri bimbi poi faranno il resto. Loro sanno inventare ogni volta la voglia di stare insieme!