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Il poeta sognatore riposa in Bangladesh

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P. Marino Rigon, missionario in Bangladesh per oltre 60 anni, salito al cielo a Vicenza il 20 ottobre 2017, è stato sepolto presso la sua missione a Shelabunia domenica 21 ottobre. Qualche giorno prima, presso il cimitero di Villaverla, si è tenuta la cerimonia di saluto. Poi, la salma è partita per il Bangladesh, accompagnata dal console generale Iqbal Ahmed e da uno dei nipoti, Marino Cavestro. Tutto a spese del governo bengalese. A Shelabunia, dopo la cerimonia di benvenuto da parte delle autorità locali, è stata celebrata l’Eucaristia, infine la sepoltura. P. Rigon era cittadino bengalese. Oltre che per il suo contributo umanitario durante la guerra (1971), è ricordato per il suo enorme impegno nel dialogo interculturale tra Bangladesh e Italia, grazie anche alle sue numerose traduzioni di poeti bengalesi. Riportiamo una lettera, scritta da p. Marino nel 2008 alla parrocchia di S. Paolo di Parma. Dà un'idea del suo lavoro come presbitero e come poeta innamorato di Tagore.

“Cinquantasette anni fa, scendevo all’aeroporto di Calcutta, la grande capitale del Bengala. Non avevo allora idea di quanto tempo mi sarebbe stato concesso, né tantomeno immaginavo il lavoro che sarei riuscito a sviluppare. Mi era sufficiente aver raggiunto la terra di missione. Oggi non mi sento grande per tutto quello che ho fatto e si dice di me. Se ho una grandezza, è per quello che è in me e che si esprime in gioia e serenità. E oggi, se c’è un cruccio che mi tormenta, è il ricordo di tante mancanze, errori, pericoli corsi... Cose spiacevoli e paure passate, che mi tengono in basso e non mi fanno insuperbire in mezzo a tanto clamore ed esaltazioni.
Un pensiero che mi stringe il cuore è il ricordo di papà e mamma, che sento sempre vicini. Quanto più lontano vado e tanto più i loro volti mi si illuminano davanti. Se c’è qualcuno che ha il diritto di godere dei miei risultati, dei traguardi cui sono giunto, sono loro! Quando mi chiedono i motivi del mio interesse per la letteratura e la cultura (in particolare di quelle bengalesi), allora rispondo che è un dono che la Provvidenza mi ha fatto attraverso la ‘carne’ e il ‘sangue’ di mio padre e di mia madre!”.



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