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Il pellegrino: “La nostalgia di casa”

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È stata la prima sensazione! Fin da subito, alla momentanea tensione per i controlli all'aeroporto "Ben Gurion" di Tel Aviv, è subentrato il desiderio di "vedere i luoghi di Gesù". Curiosità sì, certamente. Ma anche qualcosa di più: quel sentimento che il petto contiene a mala pena e si dilata dentro, via via che ci si avvicina "alla casa di Gesù".

Quante volte nella vita abbiamo sentito parlare di Gesù; quante volte abbiamo preso in mano la Bibbia - antico e nuovo Testamento - per studiare, riflettere, pregare... Quante volte abbiamo sentito parlare della Palestina, di Israele, di Gerusalemme e delle interminabili guerre del recente passato, o sempre latenti. Fin da piccoli, quante volte abbiamo costruito il presepio, immaginando i luoghi, le persone, l'ambiente della nascita di Gesù. Quanti dipinti, sculture, filmati... abbiamo visto, per ricordare e rivivere "la più grande storia di tutti i tempi: quella "del Verbo che si è fatto carne ed è venuto ad abitare in mezzo a noi!". Eppure...

È come incontrare le persone più care

Andando per le strade della Palestina e di Israele, ci è sembrato di arrivare al proprio paese di origine; di tornare a casa, dopo tanti anni di assenza. I luoghi e le persone già conosciute, per aver letto o per sentito dire, ci vengono incontro ancor prima di arrivare, prima d'incontrarle realmente. In noi missionari, un po' avanti negli anni, il ricordo del passato sovrasta il futuro, al quale guardiamo con fiduciosa speranza.

Tutto ciò ha poco di teologico, forse, ma ha molto di affetto e di fede: due parole che si completano, tanto che la radice di "fe-de" costituisce il cuore di ciò che viviamo anche come "af-fe-tto". Per gli ebrei, simbolo di fede e affetto è il muro della preghiera e del pianto; per i musulmani, è la grande Moschea, che ha rimpiazzato il Tempio; i cristiani hanno fede e affetto per ogni luogo che è memoria del Cristo.

Questo spiega perché tantissima gente, pellegrini da ogni parte del mondo, studiosi, e soprattutto gli abitanti del posto - palestinesi o ebrei - sentono la Terra Santa come "loro terra", a cui sono legati da un vincolo che non ha tempo né spazio.

L'emozione è davvero struggente, come quella di "tornare a casa". Ecco il primo spontaneo effetto della visita alla terra di Gesù, di Maria, degli apostoli, delle prime comunità cristiane.

"Sarà proprio questo il luogo...?"

Sostando sui luoghi che ricordano la vita di Gesù - una chiesa, un'immagine, una pietra, un albero, o la via della croce... - nella mente del pellegrino si insinua sempre la domanda: "Sarà proprio questo il luogo dove è avvenuto il fatto, narrato nei vangeli?".

Le guide, in genere ben documentate, raccontano del susseguirsi in Palestina di popoli diversi; dei "signori" di turno che hanno governato questa terra, lasciando ciascuno prima i segni della distruzione e poi i cimeli del loro dominio e della loro cultura.

Se incertezze e dubbi rimangono sul "luogo esatto" dove Gesù è passato, ha fatto, ha detto..., nessuno mai è riuscito a cancellare dalla mente e dal cuore dei discepoli e delle prime comunità cristiane la venerazione del Signore Gesù, sui luoghi che hanno assistito e fatto da sfondo alla sua avventura umana e divina, straordinaria e unica al mondo.

Hanno tracciato il primo percorso

La pietà e la profonda religiosità dei cristiani delle prime generazioni - di origine giudaica o palestinese, ellenica o romana, o di altra origine -, spinsero a lasciare dei segni di riconoscimento dei luoghi santi, chiamati "battisteri". Là essi si trovavano a ricordare i detti e i fatti del Signore e a pregare.

Purtroppo, la maggioranza dei discepoli - uomini, donne e bambini -, specie quelli di origine giudaica, furono espulsi dalla Palestina per ordine dell'imperatore Adriano (anno 135 d.C.). Ma tanto è bastato perché si stabilisse verso quei luoghi un legame indelebile di venerazione con le generazioni che seguirono, fino ai nostri giorni.

La fede e l'antico affetto dei primi cristiani per Gesù ha accolto e pervaso anche noi, pellegrini saveriani!

La carità cristiana è dovunque

La presenza più significativa della chiesa cattolica, in Israele e in Palestina, è quella della carità, nelle sue forme pionieristiche, tecnicamente e socialmente avanzate. Ne ricordo alcune. A Nazareth i religiosi di don Guanella seguono gli handicappati gravi in un centro moderno e ben attrezzato. A Gerusalemme la vincenziana suor Nerissa "ha un nome": si prende cura delle ragazze madri e dei loro bambini, fino a re-inserirle nella società, specialmente quella musulmana. Ad Ain-Karem, la città della famiglia della Madonna, le stesse suore di san Vincenzo hanno un "Gottolengo", affidato a loro dallo stato di Israele. A Betlemme c'è l'istituto "Effeta", diretto dalle suore dorotee di Vicenza: con i metodi più moderni riabilitano i sordomuti.

Altre opere assistenziali, all'insegna della carità cristiana, sono sparse nei territori palestinesi. Nel settore formativo, ogni congregazione religiosa ha qualche scuola per gli arabi. Tra l'altro, a Betlemme, i fratelli delle scuole cristiane dirigono un'università cattolica.

Significativa è la presenza "contemplativa" dei trappisti, delle suore benedettine e delle clarisse. Le comunità dei piccoli fratelli e delle piccole sorelle di Gesù, che si ispirano a Charles de Foucauld, sono vere oasi di preghiera e di lavoro.



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