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Il mio ricordo di p. Simone Vavassori

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Sempre vicino a tutti, nel silenzio

di p. Aldo Vagni, s.x.

Padre Aldo, saveriano di Piticchio di Arcevia, per 37 anni missionario in Congo, ha conosciuto bene p. Simone Vavassori, improvvisamente deceduto il 10 febbraio scorso. Lo ricorda così.

Padre Simone è stato un uomo buono, umile e generoso, lieto di essere utile agli altri. Anche a chi poteva averlo trattato male, rispondeva con gentilezza e mansuetudine. Chiunque l’ha conosciuto lo dice: “Padre Simone era molto buono!”. I cristiani riconoscevano in lui la capacità di saper spiegare la bibbia: “Ci faceva gustare la Parola di Dio”, mi dicevano i catechisti. I cristiani in Africa hanno fame della Parola di Dio e sono contenti di far conoscenza con missionari come padre Simone.

La persona giusta

Padre Simone ha trascorso in Congo 27 anni della sua vita: i primi dieci come responsabile in diverse missioni; poi come superiore dei saveriani e maestro dei novizi. È stato superiore per 15 anni, democraticamente eletto ben quattro volte! Ormai stava per concludere il suo quarto mandato.

Quando ci ritrovavamo per le assemblee elettive, tutti ritenevamo padre Simone la persona giusta per guidarci in mezzo a tante difficoltà. È stato un punto di riferimento per tutti noi, soprattutto nel periodo delle guerre tra gruppi rivali e durante le invasioni da parte del Rwanda e del Burundi, in mezzo alle quali ci siamo trovati. Del resto, lui aveva una carità speciale verso tutti i confratelli, come persone da comprendere e da aiutare in ogni modo.

Il momento di dimostrare l’amore

Sapeva mantenere buoni rapporti con i vescovi delle cinque diocesi dove lavorano i saveriani, svolgendo un ruolo molto utile, anche quando c’erano incomprensioni con loro. Quando veniva a visitarci nelle missioni, lui ci diceva: “È questo il momento in cui è più necessario amare la nostra missione. Noi siamo qui per la chiesa di Cristo; è qui che si gioca l’autenticità del missionario.

È proprio adesso il momento di dimostrare che noi amiamo la chiesa congolese, perché è la chiesa di Cristo: nell’umiltà, nel sopportare e perfino nel sentirci non desiderati e non necessari”.

L’angelo custode ci protegge

La casa dei saveriani, dove lui viveva, era diventata il punto di riferimento per molti. Ma questo non vuol dire che lui stesse sempre lì, fermo in casa. Molte volte, in mezzo a pericoli e rischi, faceva i safari, cioè i viaggi missionari. Poteva trovarsi di fronte a soldati di varie fazioni, tutti bisognosi di benzina o di soldi, di vestiti o di scarpe, di orologi o altro...

Tornato alla base, mandava la relazione a Roma, alla Direzione generale dell’Istituto, e scriveva: “Ho fatto il safari in una zona insicura dove mi poteva capitare di tutto…”. Ogni volta ripeteva: “Anche questa volta siamo tornati a casa, l’angelo custode ci ha protetto!”.

L’uccisione di mons. Michael Courtney, nunzio apostolico in Burundi, è avvenuta su quelle stesse strade che padre Simone aveva percorso tante volte. A volte gli amici tutzi gli dicevano: “Non andare là, perché non torneresti a casa!”. Sapevano che lo stavano aspettando, che avrebbe potuto fare la fine del nunzio...

Il dolore di perdere il padre

Tante sono le persone dispiaciute per la morte improvvisa di padre Simone; primi fra tutti i confratelli saveriani e i familiari. Tre giorni dopo la morte di p. Simone mi ha telefonato il suo vice, padre Virginio Simoncelli, dicendomi: “Noi tutti siamo dispiaciuti. Lui era molto ricco di fede, un lavoratore instancabile e silenzioso. Non amava comparire, ma si vedeva sempre. In casa o fuori, noi sapevamo di avere in lui un punto di riferimento forte e sicuro”.

E anche un’altra persona ha sofferto molto: il suo autista, Masanganjo. Gli si era affezionato in tal modo da chiamarlo “Baba Yangu - Mio padre”. Lo accompagnava sempre; non lo lasciava mai partire da solo, anche se aveva famiglia. Qualcuno mi ha detto che lui è il più desolato, perché ha perso “suo padre”.



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