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Il confine: L’insaziabile missionario

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Saverio nelle temute isole del Moro

Le isole del Moro - oggi chiamate Morotai - sono le più orientali delle Molucche, a sud delle Filippine. Erano abitate da gente che praticava il cannibalismo e usava veleni per uccidere. Con i portoghesi, erano arrivati anche due sacerdoti per evangelizzare gli indigeni. Ma i re locali erano contro; avevano bruciato le piccole chiese; un missionario era stato assassinato e l’altro era morto a Ternate.

I pochi cristiani erano rimasti abbandonati alla mercè di musulmani e gente feroce.

Solo a sentire questa storia, Saverio si appassiona a loro: deve andare e prendersi cura di quei poveri cristiani. Gli amici lo scoraggiano a mettersi in un’avventura così rischiosa. Lui invece scrive: “Vista la necessità che questi cristiani hanno di dottrina spirituale e di chi li battezzi per la salvezza delle loro anime, oltre al bisogno che io ho di perdere la mia vita temporale per soccorrere la vita spirituale del prossimo, ho deciso di recarmi al Moro, per aiutare i cristiani nelle cose spirituali, pronto a ogni pericolo di morte e riponendo ogni speranza e fiducia in Dio”.

L’istinto missionario di andare oltre

Il Saverio non era un temerario sprezzante, senza emozioni. Continua, infatti: “Quando uno si trova nella situazione di dover decidere a perdere la vita per Dio e quando si presentano situazioni pericolose per le quali è probabile che egli perda la vita proprio per le decisioni che prende, allora tutto si fa così buio che anche le cose più chiare cominciano a offuscarsi”. Con questo sentimento, lucido e coraggioso, il missionario decide di andare, affidandosi pienamente nelle mani di Dio, che lo manda “come agnello in mezzo ai lupi”.

La prima tappa è a Ternate, 500 chilometri a nord di Amboina, l’isola famosa per i “chiodi di garofano”. Vi arriva nel luglio del 1546 e vi resta tre mesi, sempre indaffarato. Vi ritorna in seguito per altri tre mesi, fino a Pasqua dell’anno seguente.

Saverio si dedica subito all’insegnamento del catechismo, ogni giorno, mattino e sera. In breve tempo, acquista la simpatia di tutti, portoghesi, cristiani, indigeni e musulmani. L’entusiasmo del missionario cresce e lo aiuta a inventare nuovi espedienti per insegnare la fede.

Di quel periodo, a Ternate rimangono solo le rovine dei fortini coloniali, nascosti tra piante secolari e grovigli di liane. Dell’apostolato del Saverio restano ancora meno tracce. Sulla chiesetta dove il missionario era solito celebrare Messa, ora sorge una moschea per i musulmani della città.

Per recuperare i cristiani smarriti

Ancora più a nord, nelle tre isole del Moro, gruppi di cristiani vivevano in 29 villaggi. Avevano accettato di diventare cristiani per convenienza “commerciale”. Il mercante Gonzalo Veloso appoggiando i signorotti delle isole a liberarsi dai pirati con l’efficacia delle armi da fuoco, aveva posto la condizione che diventassero cristiani. Ma poi gli interessi commerciali avevano riacceso i conflitti, con il concorso anche dei mozzatori di teste che vivevano nelle foreste. Molti cristiani avevano apostatato, insieme ai loro capi.

Saverio parte per queste isole a settembre del 1546: un viaggio di pochi giorni. Anche qui rimane tre mesi, istruendo i cristiani e battezzando i bambini. Visita tutti i villaggi, sotto un caldo asfissiante, cercando di non cadere nelle fauci sia dei cannibali sia dei coccodrilli. I cristiani lo accompagnano dovunque; gli raccontano la loro vita; gli mostrano il vulcano sempre attivo; gli parlano dei terremoti... Proprio il 29 settembre, festa di san Michele arcangelo, un forte terremoto scuote le isole, mentre il Saverio celebra la Messa. L’altare sembra andare in pezzi per gli scossoni. “Forse, per virtù divina, san Michele puniva e comandava che andassero all’inferno i demoni di quei luoghi, che impedivano il servizio di Dio”, commenta il missionario.

Il Saverio incontra l’islam

Nelle isole Molucche, il Saverio viene nuovamente a contatto diretto con i seguaci dell’islam. Il primo contatto era avvenuto nel suo viaggio da Lisbona all’India, sulle coste dell’Africa. Erano “i mori che vivono in pace”. I musulmani delle Molucche risentono invece dell’influsso piratesco degli abitanti dell’arcipelago. L’islam era arrivato nelle Molucche verso la fine del secolo XV, poco prima dell’arrivo dei portoghesi.

Il Saverio raramente ha parole di simpatia verso i musulmani. “I pagani e i musulmani si detestano. Questi ultimi vogliono che i primi si facciano musulmani, oppure divengano loro schiavi. Ma i pagani non vogliono diventare né musulmani né schiavi”. Considera questi musulmani “in buona fede”, perché sanno poco del vero islam. Il suo rammarico è che non ci sono abbastanza missionari per predicare la verità. Se ci fossero, “tutti si farebbero cristiani, poiché i pagani preferirebbero diventare cristiani piuttosto che musulmani”. Forse il Saverio si illudeva un po’, nel suo zelo missionario!

L’unico merito che egli riconosce ai predicatori dell’islam è di aver portato la scrittura ai popoli delle isole. “Usano i caratteri arabi, che i preti musulmani insegnano a scrivere. Prima che si facessero musulmani, non sapevano scrivere”. Per il resto, il Saverio non risparmia l’uso di espressioni ideologiche come “setta perversa”, “setta malvagia”; frasi che oggi facciamo difficoltà a pronunciare, se non per quelle frange che si dedicano al terrorismo e all’odio.

Racconta anche di un certo re delle Molucche, suo amico: “Non ha altro di musulmano se non l’essere stato circonciso da piccolo e poi, da grande, di essersi sposato cento volte: perché ha cento mogli ufficiali e molte altre meno ufficiali... Voleva che lo amassi, nonostante la colpa di essere musulmano, dicendomi che cristiani e musulmani abbiamo un Dio comune, e che fra qualche tempo saremmo tutti una cosa sola. Si rallegrava molto quando lo visitavo, ma non potei mai ottenere da lui che si facesse cristiano...”.



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