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Il buon sapore della vita

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La casa dei saveriani a S. Pietro in Vincoli (chiamati dai paesani impropriamente i frè) ha ospitato nel 1968-69 l’ultimo anno di noviziato in Romagna. Un bel numero di giovani - esattamente 29 - hanno vissuto un anno di preghiera, studio e riflessione sul loro percorso vocazionale, prima di proseguire gli studi liceali e teologici ed essere ordinati preti missionari.

La sfilata di vesti nere

Quasi tutti sono giunti al traguardo e, dopo l’ordinazione sacerdotale a Parma, sono partiti per le missioni in Africa, Asia e America latina. Chi, come me, ha avuto la fortuna di conoscerli e frequentarli, conserva di quell’anno un ricordo che, a distanza di quasi cinquant’anni, è ancora profondamente vivo. Perché, come tutte le esperienze intense e proficue, mi hanno lasciato il buon sapore della vita, entusiasmo e gioia vera.

Forse tanti paesani ricordano ancora quella sfilata di vesti nere avviarsi verso la chiesa parrocchiale la domenica per animare la Messa delle 11, celebrata da mons. Giuseppe Strocchi, allora arciprete di S. Pietro in Vincoli.

Un incarico a sorpresa

Il maestro dei novizi, p. Alessandro Patacconi (reduce dalla Scozia), uomo di grande intelligenza e umanità, e il suo vice p. Giuseppe Viotti, anche lui uomo di profonda fede ed entusiasmo, già missionario in Congo, volevano che quei giovani si aprissero alle diverse realtà della zona, non ultima quella caritativa, che li ha portati spesso a compiere volontariato anche tra i malati dell’ospizio “Santa Teresa” a Ravenna.

Lo stesso p. Patacconi mi chiese di introdurre quei giovani alla filosofia e alla letteratura con lezioni settimanali. Ero appena iscritto all’università, inesperto e certamente non all’altezza dell’incarico, ma lo affrontai con quell’animo sconsiderato tipico dei giovani, e anche con grande entusiasmo. Ho condiviso quindi con i novizi non solo ore di lezione, ma anche preghiera ed esercizi spirituali.

Papaveri e frati!

Ricordo con tanto affetto p. Ildo Chiari, economo della comunità, p. Angelo Lampis, padre spirituale, e p. Nazzareno Corradini, che con il suo spirito gioviale, tipicamente emiliano, ha saputo dare un garbato tocco di vivacità alla casa.

Una presenza carica di disponibilità e di servizio è stata poi quella del dott. Gioacchino Strocchi, medico condotto di S. Pietro in Vincoli, che oltre a curare i novizi e i padri, era spesso presente in istituto con quel suo fare arguto e un po’ sbrigativo. Proverbiale fu la sua battuta un giorno: “Gvêrda ad bëla tëra ad papevar ch’l ’à i frè: l’è una buiêda ch’u i sia int e’ mëz cveica spiga ad grân!”.

Si sapeva che i novizi non erano lì per fare gli agricoltori, e che il lavoro era funzionale a una giornata scandita tra preghiera, meditazione e studio. Le partite a pallone non mancavano, e a organizzarle c’era fratel Antonio Manucci, altra figura singolare.

Fino al martirio

Al sopraggiungere dell’estate, il maestro acconsentì che i novizi potessero fare qualche bagno al mare, naturalmente in bicicletta, e ci furono novizi - ricordo Danilo Lago, ad esempio -, che costruivano dei tandem per arrivare in quella landa allora spopolata, dal nome Bassona.

Anch’io sono andato con loro, e ricordo che un tandem era condotto da Rino Benzoni, che poi avrei rivisto a Roma come superiore generale dei saveriani.

Un canto mi è rimasto particolarmente impresso, che i novizi già da allora cantavano: O madre pietosa, laggiù nel martirio, la palma gloriosa noi sospiriam. Ascoltandolo, mi dicevo: “Ma questi sono matti!”. Eppure le parole di questo canto alla Vergine si è tradotto in realtà per alcuni giovani di noviziati precedenti che ho personalmente conosciuto: fr. Vittorio Faccin, p. Luigi Carrara e p. Giovanni Didonè.

Oggi, con lo stesso entusiasmo, la stessa fede e la stessa dedizione, i novizi che ho conosciuto nel ’68-69 a S. Pietro in Vincoli, lavorano nelle varie missioni, animati da quel fuoco che anche il noviziato ha loro trasmesso.



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