Holy Cross, inizio di una nuova missione
L’immersione nella realtà africana, nella missione di Yonibana, al centro della Sierra Leone, è durata un anno e mezzo. È stato un periodo pieno di sorprese e scoperte. Poi, sono stato mandato nella periferia della capitale, per iniziare una nuova missione. A quel tempo, Freetown era una città di circa un milione e mezzo di abitanti e aveva tre sole parrocchie cattoliche. I cattolici non erano molti; più numerosi erano i protestanti, appartenenti a numerose denominazioni, con tante chiese costruite dagli ex schiavi provenienti dall’America, dal Canada, dalla Gran Bretagna, ritornati in patria dopo l’abolizione della schiavitù all’inizio del 1800.
Il territorio della nuova parrocchia comprendeva una parte della periferia della capitale e una lingua di terra di circa 10 chilometri che corre tra il delta del fiume Rokel - il simbolo della Sierra Leone - e una formazione montuosa parallela al fiume. Il nome della parrocchia era Holy Cross (Santa Croce), per desiderio e volontà del vescovo locale, il primo vescovo africano della Sierra Leone, in ricordo dell’Anno Santo della redenzione. Era il 1983 e quindi ricorreva il 1950° anniversario della morte del Redentore.
L’unico punto di riferimento e di incontro della nuova parrocchia era una vecchia e polverosa scuola elementare, costruita dai padri Spiritani irlandesi che, qualche anno prima, avevano costruito una solida chiesa, nella zona più interna della città, intitolata a S. Martino de Porres. Il Vescovo non mi diede un pick-up, un progetto, indicazioni e tantomeno orientamenti. Mi lasciò libera iniziativa e ne fui contento. C’era una piccola comunità di fedeli cattolici che da tempo si radunava nella scuola per la Messa domenicale, celebrata da un missionario spiritano. La prima cosa da fare mi sembrò quella di esplorare il territorio per conoscere chi erano i cattolici, dov’erano, quanti erano e in quali condizioni vivevano. Volutamente, lasciai da parte l’idea di costruire subito la chiesa. Era più importante costruire una comunità che fosse come una grande famiglia, nella quale i membri si potessero sentire accolti e, insieme, potessero testimoniare una nuova presenza nel loro quartiere.
Nella piccola comunità iniziale, c’era un giovane, impiegato alle Poste centrali della capitale, sposato con famiglia, che fungeva da catechista volontario. Proveniva dal sud del paese e si era insediato in un poverissimo e angusto alloggio. Era un albino, bianchissimo, capelli giallicci. Aveva due figli che, però, come la madre non erano albini. Si chiamava Edward Sandy, aveva frequentato le scuole secondarie e parlava bene l’inglese e il krio/creolo, la lingua popolare. Si è rivelato, per me, un uomo provvidenziale: aiutante, guida, interprete, consigliere e catechista esemplare, disponibile a qualsiasi ora: un vero dono del cielo.
Per molti mesi, a bordo del nostro pick-up andammo a cercare, scoprire, incontrare famiglie e gruppi che si identificavano con la fede cattolica. Prima, abbiamo battuto la zona periferica della città, poi quella più esterna. Ovunque, abbiamo incontrato gioia e sorrisi nel sentirsi visitati dal Padre e dal catechista. Dopo i saluti e i convenevoli, c’erano i primi scambi. Tirati fuori penna e quaderno scrivevamo alcuni dati: nome, cognome, papà, mamma, indirizzo, figli, età, battezzato o non battezzato, altri parenti, inquilini, adottati…
Scoprimmo che gran parte della nostra ‘famiglia parrocchiale’ era immigrata da ogni parte del paese, un miscuglio di tribù diverse. Tutti avevano una storia da raccontare e tutti si erano accalcati attorno alla capitale. Parecchi erano riusciti a trovare un impiego più o meno redditizio in città per aiutare la famiglia a sopravvivere. I dati raccolti, e specialmente gli incontri con le famiglie e i singoli individui, diventarono uno strumento importantissimo per la nascita e la crescita della nuova comunità.
Nell’impresa di creare identità e formare unità non c’è nulla di più efficace di quanto racconta il profeta Neemia al ritorno in patria del popolo Ebraico, dopo il lungo esilio in Babilonia: radunato il popolo il sacerdote Esdra proclama la parola del Signore. Il popolo prende coscienza di una nuova certezza quella di essere amato da Dio. Anche l’Africa, sull’onda delle Comunità di Base dell’America Latina, ha fondato le “comunità di base” centrate sulla parola di Dio, dandosi il nome di piccole comunità cristiane. Sono gruppi di 10-20 persone che si trovano regolarmente a leggere, pregare, riflettere sulla scrittura, per approfondire la fede e imparare la buona vita del Vangelo e così diventare comunità vive, unite nella fede e nella testimonianza. Questo è quanto abbiamo cercato di costruire nella parrocchia di Holy Cross.