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Mi è stato chiesto di descrivere qualcosa sui campi estivi a Scampia e a Taranto. Prendo in prestito le parole di Lorenzo, un giovane di Ravenna: “Andare oltre l’orizzonte è scoprire l’Oltre che ti chiama e ti invita ad andare… oltre”.

Portare dei ragazzi in un contesto di periferia significa farli uscire dal loro mondo, dalle loro certezze ed agi, per farli incontrare con l’altra parte del mondo, quella degli esclusi. Anita è una ragazza di Como che veniva con noi per la prima volta: “Stare accosciata nell’immondizia del campo Rom, ascoltare parole senza senso mi ha toccato nel profondo, ero completamente smarrita”. Serena che viene da tre anni diceva: “Il campo è la mia pace, mi sento a casa”.

Il campo missionario era organizzato secondo due registri. Il mattino ci mettevamo in ascolto delle testimonianze di persone che sanno amare. È il caso di Augusto di Meo, testimone oculare dell’omicidio don Peppe Diana che a Casal di Principe si è visto stravolgere la vita per aver testimoniato la verità. Nel pomeriggio invece ci portavamo nei campi Rom di Giugliano o Scampia per giocare con i bambini, prestare piccoli servizi alle famiglie disperse nella campagna, fare semplici chiacchierate o partecipare a piccole feste e celebrazioni. L’incontro con queste famiglie o con i bambini delle Vele di Scampia era una prova per i ragazzi che si trovavano a fronteggiare storie di dolore e di speranza in prima persona.

L’aspetto centrale dell’accompagnamento dei giovani avveniva durante la “condivisione”. Ogni tre giorni un’intera serata era riservata all’ascolto del racconto dei ragazzi. A volte si piange, a volte si scherza ma ciò che conta è far affiorare il sentimento profondo che il Signore suscita in loro. Annalena Tonelli definiva tutto questo “l’educazione del cuore” e risponde alla domanda “Qual è il senso di ciò che viviamo?”. Si tratta di aiutare i giovani ad ascoltare il proprio cuore per ritrovare il racconto, la narrazione che ne fuoriesce. Questo esercizio permette la crescita nell’amore.

Per imparare ad amare, occorre innanzitutto accettare la sfida di evitare la tentazione dell’indifferenza. Bisogna accogliere il dolore dell’altro, anche se fa male, senza guardare dall’altra parte. Ciò permette di non essere superficiali. E bisogna fuggire dalla tentazione della delega (“Ci deve pensare lo Stato o l’Assistente Sociale”). Chiaramente non chiediamo ai ragazzi di risolvere il problema, ma almeno di lasciarsi coinvolgere. Quanto costa una telefonata, una rinuncia a qualcosa per un aiuto concreto, una preghiera, una condivisione con gli amici una volta a casa?

Infine, il campo è l’occasione per vivere la vita comune. Per scoprire il proprio corpo, la propria affettività-sessualità. C’è desiderio di sballo, si è lontani da casa e nessuno ci controlla. Il campo è occasione per educare il cuore nel respingere la tentazione degli eccessi, per vivere la vera libertà, quella che Gesù ci insegna. I ragazzi, per una volta, scelgono quello che vogliono essere, scelgono la comunione tra loro e con gli impoveriti del nostro paese. Scrive Christian Bobin: “Ogni giorno ci viene offerto un dono che ci fa scoppiare il cuore, se lo vediamo”. Andare a Scampia è un aiuto per noi missionari a vedere il dono ed a farci esplodere ancora il cuore.



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