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Don Claudio, tre volte missionario

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Dopo quattro anni passati al nostro centro di spiritualità missionaria di Tavernerio, sono tornato in Amazzonia. Prima di partire ho salutato tanta gente incontrata a Como e che mi ha fatto del bene. Mi ero premurato di informare del mio ritorno in Amazzonia anche don Claudio Madasi (nella foto sopra). Mi aveva risposto che era contento per me, che mi avrebbe accompagnato con la preghiera e la sofferenza, “perché la mia missione ora è il San Raffaele”.

Lo psichiatra diventa ''don''

Ho incontrato la prima volta don Claudio nel 2000, quando lui era ancora laico, dottore psichiatra. A quell’epoca, i vescovi del Brasile nord mi avevano affidato la responsabilità dei corsi di teologia a Belèm, presso l’istituto regionale per la formazione dei presbiteri. Claudio Madasi era, da anni, volontario nella missione di Macapà, quando decise di iscriversi al quadriennio di teologia.

Ricordo che la sua formazione universitaria precedente e soprattutto l’esperienza di psichiatra a Macapà valsero a dimezzargli i tempi degli esami. Dopo soli due anni egli venne ordinato sacerdote e incardinato nella diocesi di Macapà.

Dal Brasile alle vie di Como

Ci siamo incontrati una seconda volta, pochi anni più tardi, come vicini di casa a Belém. Tutti e due formatori di futuri presbiteri: lui nel seminario maggiore diocesano di Macapà e io nella casa di formazione dei futuri saveriani.

Continuammo a collaborare anche come insegnanti fino al 2010: lui professore di psicologia e io insegnante di bibbia, di teologia e di pastorale. Poi egli tornò in Italia per curare la sua malattia e il vescovo lo accolse in diocesi. Pochi mesi dopo anch’io sono stato richiamato in Italia dai superiori. E, con reciproca sorpresa, ci siamo incontrati per le strade di Como e in va​rie parrocchie della diocesi.

Don Claudio è salito al cielo il 16 agosto scorso. Tornando in Amazzonia, ho portato con me il testo scritto dell’addio a don Claudio, firmato dagli operatori dei consultori “La famiglia” di Como e di Croce di Menaggio. Il mio desiderio è quello di farlo conoscere alla gente di Macapà.

L’addio a don Claudio

“In punta di piedi sei entrato in consultorio. Una presenza discreta, attenta, delicata. Tu, che di cose ne avevi da insegnarci, hai cominciato subito a seminare e il primo seme a germogliare è stato quello di una bella amicizia, cordiale, fraterna, generosa, tenuta viva e alimentata anche nei giorni più difficili, fino all’ultimo, quando ti costava fatica.

Ci hai sempre incoraggiato ad accogliere le fragilità delle famiglie, e quando la malattia ti ha tenuto fisicamente lontano, abbiamo sempre contato sulla tua preghiera, su una speciale intercessione, nella celebrazione Eucaristica quotidiana, per noi e per quelli che a noi si affidavano.

Hai offerto anche le tue sofferenze, ne siamo convinti. Non hai mai interrotto l’opera di missionario e testimone, anche lontano dalla tua missione. Il Signore te l’ha fatta continuare qui tra noi, che facciamo tanta fatica a tenere viva la nostra fede.

Tu ci hai dato la prova viva e reale di un abbandono fiducioso e totale alla volontà del Padre e hai fatto di tutto per contagiarci con la tua serenità…

Ora sei là, davanti all’Altissimo, ancora inginocchiato a invocare grazie e benedizioni per chi hai amato e ti ha amato, per chi ti è stato affidato e di cui ti sei preso cura. Tra questi, don Claudio, ricordati che ci siamo anche noi”.

Caro don Claudio, in paradiso ti racconterò l’impressione che mi hai fatto vivendo. In una sola vita hai racchiuso tre vocazioni missionarie: quella del laico volontario, quella del prete, quella del malato terminale.



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